Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione universale dei diritti umani: documento che rappresenta una tappa fondamentale per la tutela e il rispetto della vita e della libertà personale di qualsiasi cittadino del mondo. Composta da trenta Articoli, la Dichiarazione sancisce i diritti fondamentali che ogni essere umano possiede in quanto tale, tra cui l’eguaglianza giuridica; le libertà personali; il diritto a un processo equo, in materia sia civile che penale; il principio della presunzione d’innocenza; la libertà di movimento e di residenza. Nel testo si legge che l’Assemblea generale dell’ONU proclama la Dichiarazione “un ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni al fine che ogni individuo ed ogni organo della società avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà”.
Sono trascorsi più di cinquant’anni da allora, ma il suo contenuto stenta ancora a tramutarsi in realtà, in molti Paesi del mondo, anche in quelli definiti “democratici”. Un lavoro importante in tema dei diritti umani lo svolge Amnesty International che dal 1961 si batte pacificamente, ma con forza e coraggio contro abusi perpetrati dai governi e da altri organismi come le imprese multinazionali. Nel 2011, l’attività di Amnesty compie 50 anni e anche in questo anniversario importante il movimento ha diffuso il Rapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Il nostro sguardo si focalizza sull’Africa Sub-sahariana e in particolare su alcuni Paesi per capire se c’è maggior spazio per la giustizia e la libertà dei popoli.
Iniziamo con l’Angola, guidata dal presidente Dos Santos. Una delle questioni più delicate dopo la fine della guerra civile riguarda il diritto dei cittadini più poveri a un alloggio adeguato. L’intento del governo dovrebbe essere quello di avviare un progetto di recupero degli slum. Tuttavia, nella capitale Luanda e nella provincia di Huíla si sono ancora verificati sgomberi forzati. Come sottolinea Amnesty: “Gli sgomberi, soprattutto quelli di Banga Wé, Cambamba I, Cambamba II e 28 de Agosto sono stati eseguiti senza alcun rispetto delle norme internazionali, che impongono l’obbligo di consultare le popolazioni interessate e di dare loro un congruo preavviso”. Nonostante le raccomandazioni e le promesse del governo angolano la situazione abitativa negli slum rimane preoccupante. Tra le tante testimonianze raccolte da Amnesty vi è quella di Maria Sebastião António, una donna di 31 anni madre di tre figli: “Vivo a Banga Wé da sempre. Sono nata qui. Dal 2004 al 2006, nel quartiere, ci sono state delle demolizioni. Non ci avevano nemmeno avvertito che avrebbero demolito. Ci hanno preso alla sprovvista. Ogni giorno dovevamo andare a lavorare e non sapevamo se al ritorno avremmo ancora trovato le nostre case”.
Il problema di alloggi adeguati e decorosi riguarda anche altri stati africani, tra cui Kenya, Nigeria, Sudan, Ciad e Ghana. Inoltre, anche la libertà di espressione continua a essere minata in queste e in altre nazioni, come il Benin dove – segnala Amnesty – molte associazioni della società civile, compresi i sindacati, hanno denunciato restrizioni alla libertà di espressione e di riunione. Anche in Costa d’Avorio la situazione rimane grave dopo le elezioni presidenziali di novembre e dopo la resistenza attuata dalle forze di sicurezza fedeli al presidente uscente, Laurent Gbagbo. “Decine di persone sono state uccise, detenute, rapite o scomparse. Diverse migliaia sono fuggite nei paesi vicini o sono sfollate internamente” evidenzia Amnesty. Il mese di dicembre è una fase storica delicata per la Costa d’Avorio, poiché l’11 dicembre i cittadini andranno alle urne per eleggere i 225 membri del nuovo Parlamento tra quasi un migliaio di candidati.
Anche la situazione sociale in Mozambico desta preoccupazioni, essendo tra i paesi africani con uno dei più bassi Indici di sviluppo umano, avendo un basso PIL procapite, oltre che una bassa speranza di vita. Il Sudafrica, nonostante sia una delle nazioni africane più all’avanguardia a livello industriale-economico, conosce numerose tensioni legate alla crescente povertà, alla disuguaglianza sociale e alla disoccupazione. A settembre, ricorda Amnesty, il rapporto sul Sudafrica relativo agli Obiettivi di sviluppo del millennio ha riconosciuto l’alto tasso di povertà e la disuguaglianza dei redditi, con diversità persistenti basate sull’origine etnica e sul genere.
Indubbiamente, a pesare sulle tensioni e sulla crescente povertà in molti paesi del continente contribuisce la crisi economica internazionale che per l’Africa si traduce in minori aiuti allo sviluppo e minore interesse da parte di Europa e di Stati Uniti, attanagliati come sono in una profonda decadenza del sistema capitalistico-finanziario.
Ma l’esortazione apostolica post Sinodo rilancia la speranza africana, anche attraverso queste parole di Papa Benedetto XVI: «Un tesoro prezioso è presente nell’anima dell’Africa, in cui scorgo un immenso “polmone” spirituale per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza, grazie alle straordinarie ricchezze umane e spirituali dei suoi figli, delle sue culture multicolori, del suo suolo e del suo sottosuolo dalle immense risorse».
Articolo di Silvia C. Turrin © pubblicato anche qui