Era il 1964 quando negli Stati Uniti veniva approvato il Wilderness Act, una legge promulgata per proteggere le aree naturalistiche ancora incontaminate, al fine di sottrarle ai pericoli della cementificazione. A caldeggiare l’approvazione di tale Act, oltre allo scrittore e ambientalista Arthur Carhart (1892–1978), vi era Aldo Leopold (1887-1948), scrittore, nonché ecologo, autore di vari saggi inerenti la conservazione dell’ambiente.
Autore di un testo ancora attuale, uscito nel 1949, ovvero A sand County Almanac: and sketches here and there (e riproposto nel marzo 2019 grazie a Piano B edizioni), Leopold è tra i pionieri di quell’ecologia che guarda ai problemi dell’ambiente adottando una visione interdisciplinare. Lo confermano i suoi scritti, alcuni dei quali sono stati raccolti nel volume “Tutto ciò che è libero e selvaggio”, tradotti da Luca Castelletti. Editato sempre da Piano B edizioni (marzo 2022), questo testo racchiude la filosofia ambientalista di Leopold, sintetizzabile con l’espressione di “etica della terra”.
Questo concetto è fondamentale per capire la visione di questo scrittore statunitense, che si specializzò in silvicoltura. L’idea di “etica delle terra” la sviluppò agli inizi del XX secolo, quando la rigogliosa Wilderness americana rischiava, già all’epoca, di essere deturpata dallo sfruttamento indiscriminato e dall’avanzare dell’urbanizzazione.
Come ricorda Luca Castelletti nell’Introduzione di “Tutto ciò che è libero e selvaggio”, Leopold era perfettamente consapevole delle conseguenze nefaste provocate dalle coltivazioni intensive e dalla mancanza di rotazione delle colture. Conseguenze che – unite a una terribile siccità – hanno provocato il cosiddetto Dust Bowl, un periodo scandito da tempeste di polvere e sabbia che determinarono gravi e pesanti effetti a livello sia ambientale, sia agricolo.
I primi decenni del ´900, in molte zone degli States, furono caratterizzati da una forte espansione urbana. Tutti questi fenomeni rischiavano di danneggiare in modo irreparabile la straordinaria natura statunitense. Per questo Aldo Leopold, ispirato anche dai primi scrittori e poeti ambientalisti come Ralph Waldo Emerson e Walt Whitman, divenne uno strenuo difensore dei diritti della terra. Nei suoi saggi – che appaiono ancora attualissimi – leggiamo la sua forte critica verso la distruzione dell’ambiente e verso un certo tipo di conservazione capace di produrre più danni, che benefici.
“Siamo in presenza di conservazione ambientale quando la terra dà buoni frutti e il proprietario terriero se ne prende cura, quando entrambi prolificano in virtù di questa cooperazione. Se, invece, una delle due parti si impoverisce, la conservazione viene meno”, ammoniva Leopold.
Più ci si addentra nei suoi scritti, più si comprende la sua denuncia a quell’antropocentrismo ancora purtroppo dominante non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. È un antropocentrismo che mette al centro di tutto gli interessi e i bisogni del genere umano. Da questa visione, dominare la natura significa sfruttarla a vantaggio dell’uomo. In realtà, questo dominio – che si manifesta con la deforestazione, con l’agricoltura intensiva, con l’uso di pesticidi e prodotti chimici altamente nocivi, ecc. – non solo provoca un deturpamento dell’ambiente, ma è altresì svantaggioso per lo stesso genere umano.
Gli effetti di questo irresponsabile e insensato antropocentrismo sono sotto lo sguardo di tutti: cambiamenti climatici, riscaldamento globale, inquinamento dell’aria e delle acque, tropicalizzazione del clima, siccità e mancanza di piogge sono alcune delle conseguenze provocate da un sistema economico-industriale-politico-finanziario non al passo con le reali esigenze della società contemporanea. Non è più possibile associare il progresso allo sfruttamento della natura.
Di questo Leopold ne era già ben consapevole e aveva messo in guardia i suoi connazionali:
“In vent’anni di ‘progresso’ il cittadino medio è giunto ad avere il diritto di voto, l’inno nazionale, la Ford, un conto in banca e un’alta opinione di se stesso, ma non la capacità di vivere intensamente senza deturpare e spogliare l’ambiente, né la convinzione che tale capacità, e non l’intensità, è il vero termometro del suo grado di civiltà”.
Gli “Scritti per la salute della terra” ci fanno riflettere sul nostro reale ruolo nella salvaguardia del pianeta e dei suoi ecosistemi. Come ci ricorda Leopold, noi esseri umani facciamo parte di una rete della vita che comprende ogni specie animale e vegetale. Sulla base di questa interrelazione non possiamo pensare di continuare ad adottare gli stessi modelli sociali ed economici del passato, poiché sono proprio questi modelli che hanno inquinato la terra e destabilizzato tanti habitat. Se ci prendiamo cura della terra ci prendiamo cura anche di noi stessi.
“Chi è la terra?” si domandava Leopold nel 1942.
La sua risposta?
“Siamo noi, e nondimeno lo è il più insignificante dei fiori accarezzati dal vento”.
Silvia C. Turrin
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