È uno dei “padri fondatori” della new age e tra i principali artefici dell’incontro fra Oriente e Occidente tramite opere in cui il sintetizzatore abbraccia strumenti etnici. In occasione della recente uscita di un album antologico intitolato The Essential, riprendiamo alcuni dei messaggi più rappresentativi da lui diffusi nel corso di una lunga e intensa carriera.
“La mia missione è unire tutti i popoli della Terra tramite la musica e la destinazione finale a cui aspiro è un mondo di pace”. Era questo uno dei pensieri che più di altri Kitaro amava comunicare durante le interviste e gli incontri informali legati all’uscita del doppio album Live in Yakushiji (disponibile anche nella versione dvd) registrato in occasione di un coinvolgente e appassionante concerto, tenutosi presso la cittadina giapponese di Nara. Quella straordinaria performance ha avuto come suggestiva location il tempio intitolato a Genjo Sanzo, monaco che nel settimo secolo, dopo aver percorso la Via della Seta, attraversato differenti paesaggi e interagito con varie culture, introdusse il Buddismo in Cina e Giappone. Un luogo scelto non a caso per i profondi significati che lo connettono alla figura di Kitaro, uno dei padri della new age, nonché artista che dagli anni Settanta ha saputo mettere in contatto l’Occidente con la musica e la cultura del Sol Levante. Suonare nel tempio di Yakushiji ha infatti confermato l’intensa spiritualità trasposta nelle sue composizioni. “Quando compongo – ha dichiarato – non faccio altro che trasferire nella mia musica le energie invisibili che mi circondano. Esse non sono altro che spiriti e ho bisogno di spazio e di silenzio per ascoltare e poi diffondere le loro voci. Sono un semplice messaggero”. È stato altresì un modo per rievocare proprio quella Via della Seta da lui tracciata con i tre progetti denominati Silk Road (Volume 1, Volume 2 e Suite), che da soli basterebbero per consacrarlo nel novero dei precursori di quella world music in cui vengono miscelati antichi strumenti e sintetizzatori, tradizione e modernità, misticismo e panteismo. Un frammento di quel trascinante Live in Yakushiji è stato recuperato e inserito nell’antologia The Essential, uscita nel 2006, strutturata in tredici brani, più un dvd contenente quattro video che documentano momenti dal vivo particolarmente toccanti. Tra questi figura “Estrella” (presente anche in versione audio), originariamente inclusa in Thinking Of You, che nel 2000 ha ricevuto il Grammy Award come miglior album new age. Nella raccolta ritroviamo altri classici del suo repertorio, come “Dance of Sarasvati” contenuta in uno dei progetti spiritualmente più evocativi, Mandala (1994), dove suoni prog-rock e arie orchestrali convivono con echi di tradizioni musicali indiane e dei Nativi d’America. The Essential, come suggerisce la stessa denominazione, evidenzia solo un frammento del lungo percorso artistico compiuto sinora da Kitaro. Impossibile, infatti, sintetizzare in modo esaustivo il lavoro di oltre tre decenni, nel corso dei quali ha incantato un pubblico decisamente trasversale con melodie definibili poemi sinfonici. Riduttivo definire la sua musica solo new age, riduttivo catalogarla, poiché le varie produzioni comunicano differenti linguaggi: dall’elettronica alla Klaus Schulze (col quale ha tra l’altro lavorato negli anni Settanta), a uno stile più maestoso-orchestrale, sfiorando in taluni casi un minimalismo sonoro. Si può trovare però un filo sottile, soprattutto sul piano dei contenuti, che accomuna le varie fasi del suo cammino, riconducibile alla sublimazione della natura, espressa nelle composizioni attraverso cori mistici, tintinnii di campane o suoni rubati al vento. L’incontro con il genio tedesco dell’elettronica, Klaus Schulze è stato probabilmente determinante nell’evoluzione artistica di Kitaro, come lui stesso ha ammesso più o meno esplicitamente in varie interviste. “Klaus mi ha insegnato che si possono ricreare i paesaggi della natura con il sintetizzatore. Grazie a lui ho imparato che un vero musicista quando esprime la sua anima attraverso la tecnologia può ottenere una musica straordinaria.”Il legame con la wilderness trae linfa anche dalle sue origini nipponico-scintoiste. Kitaro, il cui vero nome è Masanori Takahashi, è cresciuto nell’area di Toyohashi, nel Giappone centrale, circondato da un ambiente bucolico che gli ha infuso l’indelebile amore per quei paesaggi semplici e silenziosi che ispirano la sua musica. “Sin da giovane – ha infatti dichiarato – mi sono sempre immerso nella natura. Alcune composizioni per me sono come nuvole, altre sono come acqua”. I titoli stessi dei vari brani, come “As the Wind Blows” e “Wood Fairy”, esprimono proprio questa visione, intensificata e rafforzata dalle atmosfere contemplative intrinseche della sua musica. In essa troviamo al contempo una profonda essenza spirituale, alimentata dai viaggi compiuti in Tibet, Nepal e India. Il progetto Silk Road rappresenta l’emblema più vivido del suo misticismo, caratterizzato com’è da melodie estatiche e meditative. Non per niente gli ha permesso di raggiungere la notorietà a livello internazionale, ampliatasi definitivamente negli anni Ottanta, quando è riuscito a conquistare il mercato statunitense grazie al contratto discografico con la Geffen Records. E questa è stata un’altra importante svolta, non solo a livello artistico. Oltre a collaborare con musicisti americani (tra cui Jon Anderson dello storico gruppo prog-rock degli Yes), Kitaro ha scelto di abbandonare le pendici del Monte Fuji per trasferirsi definitivamente negli States. Un cambiamento che ha influito inevitabilmente sulla sua creatività e sul mood traslato nelle composizioni divenute sottilmente meno contemplative, ma non per questo banali, come dimostra lo struggente Heaven and Earth, colonna sonora del film omonimo firmato Oliver Stone con la quale ha ottenuto il Golden Globe Award. Una pellicola forte che racconta gli orrori della guerra in Vietnam, musicata in modo toccante e coinvolgente da Kitaro, il quale ha affermato: “Le guerre sono create dall’uomo. Non hanno cause esterne, ma interne alla coscienza. Nascono dalle persone che vivono un loro conflitto intimo. Io desidero creare musica che plachi quelle guerre interiori”. Questo approccio esistenziale-filosofico, che va oltre la dimensione puramente artistica, permette alle sue composizioni di “parlare” attraverso e al di là delle note. Il suo linguaggio musicale avvicina l’Oriente all’Occidente, l’elettronica ai suoni della natura, mettendo in evidenza come l’interazione tra mondi differenti possa far germogliare opere sublimi.
Jean-Francois Maljean – Gallery
È uno dei migliori pianisti europei oggi in circolazione. Il belga Jean-Francois Maljean sa creare fraseggi sia delicati, sia intrisi di un’incredibile energia. Il suo è uno stile che amalgama elementi classicheggianti con sfumature sonore new age e ambient, talvolta con sorprendenti incursioni nel jazz (come sarà il caso del suo disco di prossima uscita). Un artista apprezzato anche nel Sud-est asiatico, soprattutto in Cina, Corea e Giappone. Il legame con il Sol Levante si è intensificato in modo particolare negli ultimi anni, come dimostrano i sold out dei suoi live e le numerose standing ovation del pubblico. Questo rapporto privilegiato si è rafforzato ancor più grazie alla pubblicazione di Gallery, in cui rivisita alcune tra le più intense composizioni di Kitaro. Senza attingere a sintetizzatori e senza elaborare arrangiamenti di tipo orchestrale, Maljean con grande raffinatezza e talento offre una personale e toccante rilettura di brani scritti da una delle icone new age. Il risultato è un progetto per solo piano, imbevuto di un linguaggio acustico, carico di grande pathos. Tra i brani più rappresentativi figurano “Koi”, sviluppata su un tappeto sonoro definibile minimalista zen, “Silk road theme”, in cui rivela notevoli abilità tecniche e interpretative, e “Kuu”, traccia fra le più orientaleggianti, basata su una gamma pentatonica. Maljean riesce a portare all’essenzialità le composizioni di Kitaro, facendo emergere quell’anima melodica che accomuna entrambi gli artisti.
Silvia C. Turrin©