Negli ultimi mesi, dopo un’estate caratterizzata da siccità, da temperature elevate e al contempo da fenomeni estremi, sembra essere aumentata la consapevolezza che il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici siano ormai un fatto reale, concreto, che interessa tutti e tutto il globo. Eppure, non sono una novità fenomeni come le piogge intense e copiose, o le temperature al di sopra delle medie stagionali. Di “global warming”, di effetto serra, di tropicalizzazione del clima mediterraneo se ne parla già da vari decenni.
Di recente, ho ripreso in mano alcuni miei articoli che avevo scritto per un portale di una nota casa editrice e tra questi ne ho ritrovato uno datato 3 settembre 2004, in cui parlavo proprio delle possibili conseguenze del riscaldamento globale. Vorrei riproporlo qui, per mettere in evidenza quanto poco si è fatto concretamente per diminuire i livelli di inquinamento.
Paesaggi innevati, freddo pungente, cappotti e maglioni pesanti saranno forse un lontano ricordo di tempi andati. È questo l’ipotetico futuro che attende il Vecchio Continente se si realizzerà effettivamente quanto delineato dal recente rapporto pubblicato dall’European environment agency (EEA), l’Agenzia europea per l’ambiente con sede a Copenaghen. Il contenuto del documento è stato ben sintetizzato dalle parole di Jaqueline McGlade, direttore generale dell’EEA: “Come conseguenza del riscaldamento globale che si sta manifestando in maniera molto più accentuata in Europa, gli inverni rigidi e freddi scompariranno quasi interamente dal nostro continente entro il 2080”. A questa constatazione gli esperti dell’EEA sono giunti sviluppando un modello matematico da cui sono emersi dati preoccupanti. Se nell’ultimo secolo si è registrato in Europa un incremento delle temperature di circa un grado, fra 76 anni, sulla base dello studio, si verificherebbe un ulteriore surriscaldamento capace di aumentare la temperatura dai 3 ai 6 gradi e ciò cancellerebbe la stagione invernale e instaurerebbe un clima subtropicale.
Alla stessa conclusione sono pervenuti altri organismi che si occupano di clima e di riscaldamento globale della Terra. Uno di questi è l’International Panel on Climate Change (IPCC) costituito, nel 1988, per volontà dello United Nations Environment Programme (UNEP) e della World Meteorological Organization (WMO). Aumento delle temperature medie terrestri, scioglimento di ghiacci e ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, estremizzazione del clima: è questo lo scenario delineato dall’IPCC nel suo rapporto datato 2001, nel quale, fra l’altro, si afferma che l’origine dei cambiamenti climatici è con certezza attribuibile all’azione umana.
Infatti, i maggiori imputati sono i cosiddetti gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto, clorofluorocarburi), ovvero emissioni provenienti da varie attività dell’uomo. Se il sistema economico mondiale si baserà ancora sui modelli attuali – hanno sostenuto gli esperti dell’IPCC – i livelli dei gas serra continueranno ad aumentare, incrementando parallelamente le temperature globali.
Gli effetti del global warning (il riscaldamento del pianeta) sono già tangibili e alcune zone del pianeta risentono maggiormente del fenomeno. È il caso dell’Europa. Le piogge sono diventate più intense in determinati periodi dell’anno, trasformandosi spesso in nubifragi, con trombe d’aria; inoltre, sono spesso causa di alluvioni, tanto che alcuni studiosi parlano di “tropicalizzazione del clima europeo”. L’UNEP ha stimato che nel 2003, nel Vecchio Continente, il caldo torrido ha causato danni all’agricoltura per più di 10 miliardi di dollari e secondo gli esperti del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente “quella che ci è parsa un’estate eccezionale sarà un fenomeno sempre più frequente nei prossimi decenni, fino a diventare più o meno normale verso la metà del secolo”. L’aumento delle temperature medie si è accentuato a partire dagli anni ’90 del secolo scorso e se il trend proseguirà, nel 2080 l’Europa meridionale assumerà caratteristiche molto simili a quelle del Nord Africa. A ciò si aggiungono le ricerche effettuate dalla World Health Organization (WHO), dalle quali è emerso che sono stati 150 mila i decessi causati da malattie dovute ai cambiamenti climatici verificati nel 2000. Se non saranno attuate misure idonee e immediate – affermano gli esperti della WHO – i numeri sono destinati ad aumentare. Per attenuare e contrastare il global warming, i governi possono fare molto: favorendo l’uso di fonti rinnovabili; riducendo la dipendenza dal petrolio; rivedendo il sistema attuale dei trasporti; incentivando lo sviluppo di tecnologie eco-compatibili. L’obiettivo, in pratica, sarebbe quello di adottare un nuovo modello economico incentrato sullo sviluppo sostenibile, in grado di diminuire la produzione dei gas serra. È ciò che molti Paesi hanno tentato di avviare attraverso il Protocollo di Kyoto. Al 30 settembre 2003, 119 nazioni lo hanno ratificato e approvato, ma la somma delle loro emissioni ammonta solo al 44% del totale. Per far sì che il Documento abbia valore legale e sia davvero efficace è necessaria la ratifica di altri Paesi le cui emissioni corrispondano al 55% dell’anidride carbonica prodotta nel 1990 dal mondo industrializzato. Mancano dunque all’appello la Russia – indecisa se ratificarlo a causa di problemi economici e politici interni – e gli Stati Uniti che con solo il 4,5% della popolazione mondiale rilasciano quasi un quarto del totale delle emissioni globali.
Silvia C. Turrin
Articolo originariamente pubblicato il 3 settembre 2004
Dalla data di pubblicazione cos’è cambiato? Purtroppo non molto.
La novità principale è che la Russia ha firmato e ratificato il protocollo di Kyoto.
Chi manca ancora all’appello? Chi non ha ancora una visione politico-economica ecologica e sostenibile?
Il governo statunitense, il quale si rifiuta di ratificare il trattato.
Forse, se Al Gore fosse stato eletto Presidente degli USA nel lontano 2000 qualcosa sarebbe cambiato.
Sappiamo che con i se e con i ma non si fa la Storia. Sappiamo anche che i successori di Al Gore (qui ricordo il film-documentario An Inconvenient Truth in cui Al Gore spiega i pericoli del riscaldamento globale) – se fosse stato eletto e se fosse riuscito a imporre la sua visione ecologica – avrebbero avuto comunque la possibilità di ritirarsi dagli accordi. Oltre agli Stati Uniti, anche Cina e India dovrebbero assumersi maggiori responsabilità riducendo drasticamente i loro livelli di emissione dei gas serra.
I movimenti dei gas serra non possono essere contrastati né da muri, né da frontiere presidiate dalle forze dell’ordine. Solo cambiando la nostra visione del mondo e il paradigma economico dominante possiamo riuscire a far pace con il nostro pianeta Terra.
Per approfondire:
IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change