Hanno venduto 50 milioni di dischi in tutto il mondo ed entrambi possono vantare Grammy Awards nelle categorie pop, r’n’b e jazz. Molti attendevano un loro comune progetto discografico ed ecco che finalmente per la prima volta firmano insieme un intero album. Il risultato non delude.
Era il 1989. In quell’anno è uscito Back on the Block, prodotto dall’eclettico Quincy Jones che, per realizzarlo, aveva raccolto attorno a sé grandi personalità della musica non solo r’n’b. Oltre ai compianti Ella Fitzgerald, Ray Charles, Miles Davis e Dizzy Gillespie, figuravano anche Al Jarreau e George Benson. In quello storico progetto, il vocalist di Milwaukee a fianco di altri ben noti artisti, tra cui Bobby MCFerrin e Sarah Vaughan, interpreta con l’intensità che lo contraddistingue la song a cappella “Wee B. Doo in it”, mentre Benson impreziosisce “Birdland” e l’intro “Jazz corner of the world” coi suoi virtuosismi da veterano chitarrista. Quel disco, sorta di mosaico da cui estrapolare preziosi frammenti della musica afroamericana, è stato uno dei pochi momenti che li ha visti partecipare allo stesso progetto. La prima volta che si sono incontrati è stato a Los Angeles, nella metà degli anni ’70, in occasione del Coconut Grove Ballroom e, in seguito, a parte la parentesi di Back on the Block, hanno lavorato insieme nell’album di Jon Hendricks, Freddie Freeloader. Poi, per uno strano scherzo del destino, entrambi hanno registrato le loro rispettive produzioni con le medesime etichette (Warner nei decenni ’70 e ’80 e successivamente con la Verve). Non solo vari producer, ma anche svariati estimatori speravano in una loro collaborazione, a dispetto di presunte rivalità o gelosie. Ed ecco che la label californiana Concord ha realizzato ciò che molti attendevano da anni: vederli fianco a fianco in studio per dar vita a un lavoro discografico firmato a loro nome. E così, grazie anche al produttore John Burk, i nostri hanno dato vita a Givin’ It Up, impregnato di atmosfere soul e jazzy, in cui musicalmente si avverte l’equilibrio tra i due. Non si percepiscono tendenze a dominare la scena, da parte né dell’uno, né dell’altro. Emerge, oltre alla loro indiscussa professionalità, una pacifica armonia che li porta quasi a giocare coi loro classici, nonché a creare un ponte tra il passato e il presente della musica. Apre “Breezin”, indimenticabile masterpiece incluso nell’eponimo e fortunato album di Benson del 1976, qui arricchito dalle liriche di Jarreau e dalla presenza di Vinnie Colaiuta (batteria) e Paulinho Da Costa (percussioni). Segue un brano del 1983, “Mornin”, il cui pathos originale dato dall’incredibile estensione timbrica di Al Jarreau è stato in parte perso, trasformandolo sostanzialmente in mero pezzo strumentale, arricchito per fortuna dal sax di Marion Meadows, dai giri di chitarra in perfetto stile Benson e dagli echi vocali di Jarreau. A nostro avviso una delle scelte non particolarmente indovinate del progetto. Fa da contraltare “Long come Tutu”, rivisitazione della straordinaria composizione di Miles Davis, dedicata all’Arcivescovo sudafricano Desmond Tutu (e, lo ricordiamo, premio Nobel per la pace nel 1984 per le sue pacifiche battaglie anti-apartheid). La versione davisiana è stata rivisitata trasformandola in una sorta di resurrection blues grazie alla voce di Jarreau, che si culla tra il basso di Marcus Miller e il piano acustico di Herbie Hancock. Dall’immenso repertorio di Davis, è stato attinto un altro standard, “Four”, pieno di ritmi swing-jazz. Altra traccia solare è “Summer Breeze”, pezzo scritto nel ’73 da Jimmy Seals e Darrell Crofts, intrisa di una forte essenza positiva, data dall’intreccio vocale di Benson/Jarreau e dalla trascinante architettura sonora. Ascoltando quest’album pare proprio di oscillare nel tempo, tra passato e presente, senza però incontrare punti di rottura. Tutto risulta omogeneo, grazie ad arrangiamenti moderni, che ritroviamo in “Bring it on Home to Me” scritta da Sam Cooke (che vede un cameo di Paul McCartney), come pure in “God Bless the Child”, portata al successo negli anni ’40 da Billie Holiday e reinterpretata da Jill Scott, una delle migliori voci del nu soul.
Accanto a questi standard intramontabili della musica di ieri, si rimane affascinati dalla rivisitazione di classici più moderni, come “Ordinary people” del talentoso John Legend e la sempre emozionante “Every time you go away” firmata Darryl Hall, resa celebre dalla calda voce di Paul Young.
Il disco è totalmente impregnato delle capacità artistiche dei nostri, rappresentate in primis dai virtuosismi con la chitarra di Benson e dagli immancabili scat di Al Jarreau. Givin’ It Up non delude le aspettative ma, anzi, va oltre, perché è anche un omaggio a grandi nomi che hanno scritto pagine indimenticabili nel grande libro della musica afroamericana.
Articolo di Silvia C. Turrin© pubblicato originariamente sulla rivista Acid Jazz.
Qui il pdf: BENSON_JARREAU