Il duo, sorto nel 1997 dalle ceneri degli Al Darawish, porta avanti un percorso in cui s’intrecciano impegno sociale e confronti musicali per dar vita a una sorta di Italian-world music. Ritmi mediterranei e mediorientali si fondono con testi pregni di significati profondi. La sintesi di questo cammino la ritroviamo nel nuovo progetto Amara terra mia. Un disco che unisce passato, presente e orizzonti infiniti, sfiorando le volte celesti.
Tutto appare relativo in questo mondo popolato da anime in perenne viaggio. Lo spirito errante può nascere dalla mancanza di alternative, dovuta a guerre sanguinose che anziché creare pace, generano ulteriore povertà. Questo è un nomadismo fisico nato dal bisogno primario di sopravvivenza, che spinge esseri umani a varcare frontiere per raggiungere terre sconosciute in cerca di una vita ipoteticamente migliore, portando appresso colori, profumi, usanze del proprio Paese natio. Ma viandante è anche la mente. Se stimolato da input positivi, l’immaginario umano può aprirsi verso luoghi immateriali ancora inesplorati. Il pensiero così si espande, non rimanendo più sedentario, né imbrigliato da stereotipate, omologanti, presunte verità.
Il viaggio, forse quello più importante, si compie nella psiche e nell’intelletto dell’uomo. E sono proprio i viandanti e i profughi delle idee a essere al centro di Amara terra mia, il nuovo, toccante progetto firmato Radiodervish che sintetizza con uno stile intensamente poetico il percorso non solo artistico compiuto in questi ultimi anni da Nabil Salameh (voce) e da Michele Lobaccaro (chitarra, basso).
A raggiungere le profondità dell’anima e a stimolare la mente sono le note che come un ponte ben solido uniscono Oriente e Occidente e sono i testi, mai banali, pregni di misticismo e di riferimenti politico-sociali su cui riflettere. In questo lavoro le parole sono rilevanti quanto la musica. Una caratteristica che del resto ha sempre contraddistinto il duo, ma qui la simbiosi si avverte con maggiore profondità. Brani che ormai rappresentano l’essenza dei Radiodervish come “Ti protegge”, “Del bene e del male”, “Bombay Salam”, “Centro del mundo”, vengono alternati a preziosi intarsi parlati dell’attore Giuseppe Battiston. Suoni, monologhi, voci catturati in presa diretta il 13 aprile 2005, nel corso dello spettacolo “Amara terra mia – esseri umani in costante movimento”, in cui il pathos delle canzoni è rinvigorito da storie e racconti interpretati con maestria da Battiston. Vengono riprese frasi di Adonis (Cammino verso me stesso, quel che verrà a me stesso. Cammino e dietro camminano le stelle), di Khaled Fouad Allam in cui si narra il tragico destino di un uomo trasformato in kamikaze, e poi ancora pensieri di Gotthold Ephrain Lessing che descrivono l’impossibilità di accedere a un’unica verità e scritti della giornalista Giovanna Boursier dove viene riportata l’odissea di Sajjiad, che da profugo politico fuggito dal suo Paese in cerca di libertà, diventa vittima del Cpt. Ad arricchire il tutto, due inediti che rivisitano brani originariamente cantati da Domenico Modugno: “Tu si na cosa grande” e “Amara terra mia”, quest’ultimo arrangiato con la collaborazione di un altro viandante di suoni e linguaggi, Franco Battiato (regista anche del video, girato nel Salento).
Proprio “Amara terra mia” unisce il passato e il presente della tradizione musicale italiana, aprendola alle sonorità tipiche del Medioriente. Un titolo semplice, ma allo stesso tempo evocativo. Riporta a galla un girotondo di immagini in cui si muovono anime migranti, siano esse italiani del sud, pakistani, nomadi del deserto e del pensiero.
“È un brano con cui volevamo confrontarci da tempo – spiega Michele – perché significa molto per la canzone italiana, nazional-popolare. In realtà, è dai primi anni Novanta che volevamo lavorare su questa traccia. Ci siamo riusciti solo adesso, perché il fenomeno dell’immigrazione si è intensificato. Ma la motivazione centrale è legata alla nostra esplorazione della musica di Modugno, iniziata con “Tu si na cosa grande”.
Se con “Amara terra mia” la rivisitazione poteva apparire più mentale, per i significati e i messaggi sott’intesi, l’approccio e l’interpretazione hanno assunto una dimensione più intimista e di cuore, in quanto si è creata una corrispondenza ideale tra noi e Modugno proprio con “Tu si na cosa grande”. Ci siamo resi conto come le sue composizioni racchiudano forti elementi sonori tipici del Mediterraneo. Per esempio, in “Tu si na cosa grande” il canto di Nabil e gli arrangiamenti con gli archi molto arabeggianti ci stanno benissimo. La melodia di Modugno e la tensione emotiva che da essa emerge sono mediterranee.
Quando il legame si è sbloccato psicologicamente ed è sconfinato sul piano emozionale, il processo creativo è stato immediato ed è nata “Amara terra mia”. È facile da un punto di vista mentale – continua Michele – collegare questa canzone con l’immigrazione di oggi e quella di ieri. La difficoltà o se vuoi il passo successivo e più impegnativo è trasformare questo processo mentale in musica. Questo è stato appunto possibile solo dopo il passaggio obbligato di “Tu si na cosa grande”.
A proposito del concetto di terra, qual è il rapporto con i vostri rispettivi luoghi d’origine, la Puglia e la Palestina? E come trasferite questo legame, se c’è, nella vostra musica?
“Ogni giorno abbiamo a che fare con le nostre radici – racconta Nabil – perché rappresentano gli affetti, il percorso di vita. Sono pezzi della nostra esistenza che ci accompagnano. La famiglia di Michele ha un passato d’immigrazione. Io appartengo alla fascia intellettuale di migranti che è un po’ diversa da quella che avviene negli ultimi anni. Mi sono trasferito in Italia per motivi di studio. La musica non era inizialmente tra gli obiettivi. È stata un’avventura che ci ha sorpreso e che in qualche modo ci ha affascinati. Abbiamo seguito quella stella, perché ci sembrava molto luminosa.
Le radici hanno tracciato gli ingredienti del nostro incontro che non è stato un punto d’arrivo, ma di partenza, perché ci siamo confrontati proprio sulla base dei nostri vissuti. Ne è risultato un punto d’inizio verso un divenire in continuo movimento”.
“In realtà – precisa Michele – ne io né Nabil abbiamo delle forti radici. Questa cosa ci ha permesso di essere i Radiodervish. Io non mi considero solo e unicamente pugliese e Nabil non ha mai visto la Palestina, essendo nato profugo in Libano. Il rapporto con le nostre origini non essendo così fossilizzato e di dipendenza, ci ha consentito di dare origine a un’apertura mentale che fa immaginare ed esplorare altre radici”.
Michele mi hai proprio anticipato la domanda successiva. Considerata la vostra musica, i testi e la contaminazione – passatemi il termine – di generi, sembra che la vostra essenza, nel corso di questi anni, vada oltre confini stabiliti.
Nabil: “È avvenuta indubbiamente una fusione, ma per quanto mi riguarda c’è stata anche una maggiore consapevolezza delle mie radici e del contesto nel quale vivo attualmente attraverso un processo di maturità e di riflessione. Ho così riscoperto le mie origini partendo paradossalmente da un altro punto d’osservazione e questo mi ha permesso di andare oltre, come diceva Michele. Non rinnegandole, ma cercando di valorizzarle attraverso il confronto e l’accostamento di varie sfumature esistenziali. Come artigiani uniamo colori, musiche, idee facendoci guidare dal filo delle emozioni”.
Gli arrangiamenti del brano “Amara terra mia” sono stati curati oltre che da voi, anche da Franco Battiato, da tempo vostro caro amico. Com’è nata questa collaborazione professionale con un “visitatore di porte” come voi?
Michele: “È la prima volta che collaboriamo professionalmente con Franco, anche se negli ultimi anni gli abbiamo fatto ascoltare svariate nostre composizioni, per avere un suo parere. Per esempio il titolo dell’album In search of Simurgh ce l’ha suggerito lui. Noi, più che considerarci un gruppo italo-arabo o italo-palestinesi, ci sentiamo un gruppo italiano che compone la nuova musica italiana fatta di suoni meticciati. Penso che i figli degli immigrati, tra qualche anno, partendo dalle sonorità dei loro Paesi d’origine daranno vita a un nuovo stile musicale italiano realizzato con un patrimonio genetico-culturale più vasto, sulla falsariga della nostra esperienza: innestare, su un gene nazional-popolare melodico come quello di Modugno, sonorità arabe.
Un anticipatore di tutto questo è stato sicuramente Franco Battiato che all’interno della melodia italiana ha inserito echi arabeggianti e concetti orientali tratti dal sufismo.
Il nostro incontro come amici e colleghi è stato naturale. Con “Amara terra mia” ci siamo ritrovati magicamente insieme. Lui doveva girare il video-clip del pezzo “Tu si na cosa grande”, poi gli abbiamo fatto ascoltare la nostra rivisitazione di “Amara terra mia”. L’ha apprezzata talmente da realizzarne il corto.
La mia intervista integrale ai Radiodervish è consultabile qui in pdf RADIODERVISH
Amara terra mia – Radiodervish (2006) regia di Franco Battiato
Video Tratto dallo spettacolo di “Amara terra mia — esseri umani in continuo movimento” interpretato dai Radiodervish insieme all’attore Giuseppe Battiston.
Lettura Giuseppe Battiston “Le Stelle” – tratto da “Nella Pietra E Nel Vento” di ADONIS-