In tempo di pandemia, gli scritti del filosofo norvegese Arne Næss (1912-2009) sono quanto mai attuali.
Il suo approccio filosofico, depurato da chiacchiericci astratti e lontano dai salotti mondani, è stato sempre ispirato e connesso alla natura. Per lui la natura non era un’entità disgiunta dal genere umano, tanto da avvertire con essa un senso di appartenenza.
Le idee che ha elaborato nel corso della sua vita sono state frutto di esperienze concrete e personali a contatto con l’ambiente naturale in cui si trovava. In particolare, sviluppò un profondo legame con il monte Hallingskarvet, tanto da costruirvi una baita, raggiungibile soltanto a piedi. Questo rifugio lo denominò Tvergastein, che in norvegese significa “pietre incrociate”.
Questa immersione nella natura selvaggia – che ricorda in qualche modo l’esperienza di un altro filosofo sui generis, Henry David Thoreau, tra i portavoce/difensori della wilderness americana – ha permesso a Arne Næss di andare oltre gli steccati della filosofia per elaborare l’ecosofia, ovvero quell’approccio filosofico che invita ad abbracciare uno stile di vita ispirato alla saggezza ecologica e basato su un rapporto armonico con la natura.
Già durante gli anni Sessanta del XX secolo, Næss comprese gli effetti deleteri del processo di industrializzazione e gli impatti negativi di tale processo sull’ambiente. Non a caso, egli è considerato tra i fondatori del movimento dell’ecologia profonda, in cui sono centrali non solo la responsabilità ecologica, ma anche la giustizia sociale e la pace nel mondo, a sottolineare la stretta interrelazione di questi temi che ancora, nel 2022, non hanno trovato soluzione.
La consapevolezza di questa profonda interconnessione tra natura e genere umano rimane decisamente al di fuori del modus vivendi e operandi dei gruppi politici, economici e finanziari al potere.
Le varie decisioni internazionali sono ancora fossilizzate su schemi ideologici vetusti, ancorati ai singoli interessi nazionali e alla continua ricerca di una crescita economica globale (crescita che in verità è più un miraggio che un obiettivo realisticamente raggiungibile).
Le conclusioni della Conferenza sul clima di Glasgow sono un chiaro esempio di questa incapacità ad ammettere concretamente l’interrelazione fra noi e l’ambiente. Come evidenzia Arne Næss nei suoi scritti, l’antropocentrismo domina ovunque, persino in quelle organizzazioni che si dichiarano a favore dell’ambientalismo, in quanto spinte da un approccio puramente utilitaristico.
Senza comprendere e contrastare le cause che hanno portato e che portano all’inquinamento dell’aria, delle acque, e alla distruzione di interi ecosistemi non risolveremo mai la questione ambientale. Anzi, c’è di più: non comprenderemo mai il senso della vita e della rete vitale che lega il genere umano alla natura.
Solo spostando la prospettiva e l’azione da un’ecologia di superficie a un’ecologia profonda potremo proteggere ogni forma di vita sulla Terra. Un approccio basato sull’ecologia profonda presuppone un cambiamento nelle strategie e nelle scelte in vari ambiti: dalla politica all’economia, dalla questione demografica globale all’istruzione. Ma per attuare concrete modifiche occorre partire prima dalla visione/percezione che abbiamo di noi stessi come individui.
Il filosofo Arne Næss – ispirandosi alle analisi di Erich Fromm – apre le porte alla psicologia, invitandoci a superare l’ego e il sé puramente individualistico per abbracciare un sé “allargato e approfondito”.
E si ritorna a quel senso di appartenenza citato all’inizio. “Tutto è connesso”. Ampliando il nostro sé, facendo crollare fini utilitaristici e interessi di parte, potremo capire e sentire finalmente la relazione che ci lega a tutti gli altri esseri viventi, agli ecosistemi, all’ecosfera e alla Terra.