Li chiamano “enfants sorciers”, “bambini stregoni”. Soprattutto in Congo questi bimbi sono abbandonati dalle famiglie, o addirittura picchiati brutalmente perché accusati dagli adulti di portare sfortuna e di praticare la stregoneria.
Questa sorte non è toccata al musicista Baloji, il cui nome in francese vuol dire proprio “sorcier”, stregone. Come ha ammesso lui stesso: «Ho dovuto per forza accettarlo».
Il suo destino è stato molto diverso rispetto a quello dei bambini congolesi vessati dai genitori intrisi di false credenze e di ataviche, incomprensibili superstizioni. Nell’era dei cellulari – e in Africa ce ne sono tanti – resistono ancora errate credenze popolari, che portano ad attribuire eventi infausti – come la perdita del lavoro o la morte di un parente prossimo – al bambino “sorcier”, a cui si infliggono punizioni che sfociano addirittura nella morte.
Baloji ha dovuto accettare il nome che porta e per lui, in fondo, non è stato poi così difficile, dato che sin dall’età di tre anni è cresciuto col padre in Belgio, dopo aver abbandonato il suo paese natale, il Congo. Dalla sua prospettiva privilegiata, ha trasformato quel suo essere “stregone” in virtù, divenendo un apprezzato songwriter e produttore africano, capace di creare una forma originale di hip-hop. Dopo il suo disco Hôtel Impala, sospeso tra la dimensione culturale belga e i rimandi al Congo, Baloji ha voluto volgere lo sguardo verso la sua terra d’origine, dove è nato nel 1978.
L’esito del suo ritorno alle proprie radici è il cd Kinshasa Succursale (Crammed Rec/Materiali Sonori), un lavoro pieno di ritmo, ma anche di idee, riflessioni, accuse, a cominciare dalla prima traccia.
“Le Jour d’Après / Siku Ya Baabaye (Indépendance Cha-Cha)” apre l’album denunciando come tutte le promesse fatte dopo l’indipendenza del Congo siano state tradite: “l’oro è diventato piombo e tutto peggiora”.
Il suo non è un pessimismo senza soluzioni: una strada positiva – dice – si può trovare nella responsabilità collettiva e in una rivoluzione prima e durante le elezioni.
In Kinshasa Succursale si ritrova però ancora quella doppia identità presente nel cd Hôtel Impala: una duplice essenza dovuta alle sue radici congolesi, da un lato, e al suo percorso di crescita in un paese europeo come il Belgio, dall’altro. Ciò crea in Baloji una forma di contraddizione interiore, che viene superata attraverso il linguaggio musicale che sa forgiare: i suoni afro-funk si intrecciano con un jazzy touch; l’idioma hip-hop occidentale si mescola con il lingala e lo swahili.
Poi le denunce continuano, sottolineando come la “generosità” dei cinesi mascheri e riproduca schemi coloniali e come certi organismi umanitari vivano nutrendosi delle disgrazie dell’Africa. Anche questo, viene “esorcizzato” tramite la musica e le danze chiamate mutuashi tipiche del sud-est del Congo. Grazie alla presenza di altri importanti musicisti africani – dai Konono N°1 a Zaïko Langa-Langa – Kinshasa Succursale esprime l’identità sonora di Baloji, che come un prisma riflette tante sfumature, immagini e la speranza che il Congo – e l’Africa tutta – possa camminare con le proprie gambe, senza falsi aiuti e senza vecchie credenze portatrici solo di arretratezza.
Articolo di Silvia C. Turrin consultabile anche sul sito SMA Afriche
Materiali sonori, l’etichetta italiana che distribuisce il cd Kinshasa Succursale di Baloji
Il sito ufficiale di Baloji http://www.baloji.com/index2.html