Alcuni anni fa, per una rivista con cui collaboravo, scrissi un articolo dedicato al compianto Tiziano Terzani. Ero talmente entusiasta all’idea che andai nel luogo, in Italia, a lui più caro: Orsigna, piccolo borgo definito da Terzani “l’ombelico del mondo”. Poche abitazioni danno vita a questo paese della montagna pistoiese, dove sono lontani gli echi cacofonici del traffico urbano. Orsigna è immersa in un ecosistema straordinario: il verde rigoglioso della Natura regala pace e conforto ai viandanti. In effetti è un posto “magico”, che attrae e che crea nostalgia se si rimane lontani troppo tempo… Non a caso Terzani scrisse:
[…] Torno sempre anch’io e sempre più mi domando se, dopo tanta strada fatta in cerca d’un senso all’insensata cosa che è la vita, questa valle non sia dopotutto il posto più altro, il posto più esotico e più sensato; e se, dopo tante avventure e tanti amori per il Vietnam, la Cina, il Giappone e ora l’India, l’Orsigna non sia – se ho fortuna – il mio vero, ultimo amore.
Il 14 settembre 2018 Tiziano Terzani avrebbe compiuto 80 anni.
Ne sono trascorsi quattordici dalla sua dipartita da questa dimensione terrena, eppure, le sue idee e i suoi messaggi sono ancora attuali. Nei suoi scritti e nel suo lascito intellettuale ritroviamo elementi imperituri legati alle millenarie filosofie orientali.
Quella di Terzani è un’eredità preziosa, perché ha mostrato al mondo – non solo attraverso i suoi libri – che è possibile scegliere la via del dialogo e della pace. Terzani ha dato speranza ai giovani e ha offerto loro una reale alternativa a guerre, ipocrisie, soprusi e ingiustizie.
Egli viveva secondo il principio che Tutto è Uno, poiché è pura illusione credere nella dualità tra bene e male, tra gioia e sofferenza (come illustra bene il simbolo del Tao). La vera rivoluzione parte dal nostro mondo interiore, dalla conoscenza del nostro Sé, dall’affrontare le nostre ombre.
Desidero riproporre quello scritto, pubblicato nel lontano 2007.
In seguito sono ritornata ancora a Orsigna…
Una parte del mio Cuore è là, tra i boschi della montagna pistoiese, nella splendida poesia della natura di Orsigna
Buona Lettura!
Silvia C. Turrin
“Mi chiedi perché ho costruito la mia casa nella foresta; sorrido e rimango in silenzio. Anche la mia anima resta in pace: vive in un mondo che nessuno possiede…”.
Così scriveva il poeta cinese Li Po (701-762) come atto di sublimazione della Natura, considerata rifugio ideale per ascoltare la parte più profonda del Sé e il respiro dell’Universo, sentendosi parte del Tutto, al di là di qualsiasi forma di materialismo. Parole, quelle di Li Po, che potrebbero appartenere a Tiziano Terzani, viaggiatore e giornalista curioso, che ha esplorato il cuore dell’Asia. Di quel variegato e immenso continente, terra d’origine di filosofie millenarie, ha raccontato le contraddizioni, le virtù, gli orrori, le bellezze. Si è poi spinto ai confini estremi dell’ex Unione Sovietica. Ha solcato le acque del fiume Amur e attraversato la Siberia, il Tagikistan, l’Azerbaigian, il Kirghizistan, documentando in prima persona la dissoluzione dell’URSS (descritta nelle pagine di Buonanotte, Signor Lenin) in quelle regioni dell’Asia Centrale lontane, non solo dal punto di vista geografico, da Mosca. Nonostante il suo costante peregrinare verso Oriente, Terzani, ogni anno, per ritrovare pace dentro di sé e attorno a sé, raggiungeva Orsigna, piccolo borgo incastonato in una delle poche valli chiuse che la morfologia ha regalato all’Italia. Era il suo “ombelico sulla terra”, come lui lo definì. Qui aveva voluto costruire la sua casa in mezzo alla foresta. Per arrivarci, da Pracchia si percorre una stradina in salita, tortuosa e stretta, circondata da distese rigogliose di castagni e faggi. La vegetazione è talmente fitta e i colori così intensi che sembra di navigare in un oceano di smeraldo.
Orsigna è diventata quasi una meta di pellegrinaggio, soprattutto dopo la sua morte, come rivela “l’albero con gli occhi”, ai cui rami sono stati appesi ciondoli, bandiere tibetane e varie kate (le sciarpe di buon auspicio e benedizione in uso in Tibet) e attorno sono stati costruiti piccoli tumuli formati da pietre poste una sopra l’altra (altro simbolo legato alle usanze spirituali di vari Stati asiatici). Sono trascorsi tre anni e qualche mese (nel momento in cui si scrive questo articolo) da quel 28 luglio 2004, quando Tiziano Terzani ha lasciato il suo corpo per intraprendere un nuovo viaggio lungo il quale non esistono certezze, ma solo tanti interrogativi e speranze. Nei giorni successivi al suo “trapasso” sono stati pubblicati svariati articoli che ne hanno ripercorso il cammino di uomo, giornalista e scrittore. Si sono ricordati gli appassionati reportage dal Vietnam (da cui sono nati Pelle di leopardo e Giai Phong! La liberazione di Saigon) e dall’Impero Celeste, la Cina, dal quale è stato espulso per attività controrivoluzionarie (da qui il titolo emblematico de La porta proibita). Si è poi parlato dell’ultimo Terzani, portavoce di quella parte di mondo contraria sia all’invasione in Afghanistan, sia all’idea che il terrorismo si combatte con un’altra forma di violenza. Lettere contro la guerra è l’importante lascito di un individuo che dopo aver visto gli orrori di vari conflitti si è trasformato da corrispondente di guerra in giornalista di pace. È un libro che va ben oltre le analisi dell’11 settembre e le relazioni Occidente-Oriente, da un lato, Stati Uniti-Osama bin Laden, dall’altro, perché in quelle missive Terzani, riprendendo in particolare le idee di Gandhi, esortava a un ripensamento di valori, priorità e comportamenti su scala globale.
“Il mondo è cambiato. Dobbiamo cambiare noi”, scriveva con lungimirante e inascoltato fervore. “L’occasione è di capire una volta per tutte che il mondo è uno. Che ogni parte ha il suo senso, che è possibile rimpiazzare la logica della competitività con l’etica della coesistenza, che nessuno ha il monopolio di nulla, che l’idea di una civiltà superiore a un’altra è solo frutto di ignoranza, che l’armonia, come la bellezza, sta nell’equilibrio degli opposti e che l’idea di eliminare uno dei due è semplicemente sacrilega”. Lettere contro la guerra è forse il libro più coraggioso che abbia scritto. Anziché tornare alle pendici dell’Himalaya, contemplando in silenzio splendidi paesaggi e isolandosi dalle diatribe di un mondo folle, nonostante il male che già l’affliggeva, si è messo in gioco, esponendo le sue idee di non-violenza. Per questa scelta è stato da molti criticato, descritto come idealista o visionario utopista. Per altri, ha rappresentato e rappresenta quel guru che lui non ha mai cercato di essere.
Ora, i riflettori non sono più puntati su di lui, perché, si sa, i mass-media cavalcano le onde delle notizie soprattutto se tira aria di polemica, come è stato il caso di Terzani e Oriana Fallaci, fautori di due opposte interpretazioni non solo della politica internazionale. Noi a prescindere da particolari ricorrenze e commemorazioni, espresse talvolta in forma banale e artificiosa, lo vogliamo nuovamente ricordare. Questa volta lo faremo attraverso la descrizione di quei luoghi dove Anam ha trascorso gli ultimi mesi della sua intensa vita. Quegli stessi luoghi che lo spingevano ogni anno a lasciare l’amato continente asiatico per fuggire verso le montagne dell’Appenino tosco-emiliano, in provincia di Pistoia, tra piccoli borghi lontani da centri commerciali e fast-food, immersi in una natura da scoprire. Un modo per non dimenticare un giornalista che è stato coerente col suo essere uomo e che ha voluto esplorare, pur tra mille domande e talvolta scetticismi, realtà lontane da teorie materialistiche e da approcci razional-illuministici. Coerenza e curiosità lo hanno spinto prima a viaggiare e conoscere l’Asia, poi a esplorare un luogo forse più difficile da scandagliare, il proprio sé.
È questa ricerca verso le profondità della coscienza che ci lega, in particolare, a lui. Perché guardare e toccare il nostro mondo interiore può essere il primo passo per sviluppare consapevolezza di esseri realizzati e per creare armonia in noi da trasferire poi all’esterno. Sentire la propria anima che naviga in un oceano di pace non è una folle idea. Come ha scritto Terzani, “se la pace non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte” .
L’ombelico del mondo
India, Giappone, Vietnam, Cambogia, Laos, Birmania (ribattezzata nel 1988 Myanmar dopo l’instaurazione della dittatura), Thailandia: sono solo alcuni dei Paesi visitati e raccontati da Terzani. L’Asia lo ha attirato a sé come una potente calamita. Di questo variegato continente ha descritto non solo la Grande Storia (guerre, repressioni e cambiamenti politici di Stati in cerca di una propria identità nazionale), ma anche la cultura, le tradizioni e i modus vivendi di popoli lontani. Dagli anni Sessanta, ha attraversato luoghi e incontrato genti portatori di un’altra visione del mondo (in parte diluitasi nel marasma consumistico della globalizzazione). Realtà e persone che hanno costituito la materia prima da cui forgiare articoli, molti raccolti nelle pagine di In Asia. Parlando proprio di questo libro, l’immagine che più colpisce a livello visivo è la carta geografica riportata in seconda e terza di copertina. Sono evidenziati unicamente città e Paesi che ha attraversato e narrato. Nuova Delhi, Saigon, Pyongyang, Manila, Pechino… Sulla mappa si trovano solo città asiatiche. Ma in un angolo sulla sinistra è indicata anche Orsigna, segnalata in uno spazio senza alcun riferimento né all’Italia, né all’Europa. Quel punto sulla carta rappresenta il famoso “ombelico del mondo” dove Terzani trovava serenità, calore e le proprie radici (seppur nato a Firenze, si sentiva un orsignano). In ogni suo libro ci sono, più o meno chiaramente, richiami a quel borgo formato da poche case. Questo legame risale ai tempi dell’infanzia. Aveva appena sette anni quando ci mise per la prima volta piede e da allora, Orsigna si è via via trasformata in un porto sicuro immerso nel mare verde della foresta, dove ormeggiare e ammainare per un po’ l’indole di curioso viaggiatore.
Leggendo i suoi scritti subisco ogni volta il fascino dello spirito di vero giornalista che lo ha sempre contraddistinto e che lo conduceva sul luogo per capire, osservare, “toccare con mano” i fatti. Al contempo, mi ha sempre incuriosito il profondo legame che nutriva verso un paesino sperduto tra faggi, castagni e abeti. Mi chiedevo perché avesse scelto proprio Orsigna per depurarsi dalla follia del mondo e poi per accomiatarsi da esso. Alcune risposte le ho trovate nei suoi articoli. Quello pubblicato nel 1997 sul Corriere della Sera è uno dei più illuminanti. “Il pensiero di quel posto – scriveva Terzani – m’è servito da bussola nei miei vagabondaggi nel mondo e quando ai miei figli, cresciuti sempre in paesi d’altri, ho voluto dare delle radici e mettere nella memoria l’odore di una casa a cui legare poi la nostalgia dell’infanzia, ho imposto loro, come regola di famiglia, di passare ogni anno due mesi ad Orsigna”. Per lui era dunque un punto di riferimento tra un viaggio e l’altro, una sorta di approdo tranquillo dove ritrovare profumi familiari. Cercavo tuttavia di scoprire tra le righe i motivi di questo attaccamento. Perché proprio Orsigna? Pensavo che questa scelta non derivasse solo e semplicemente da un legame affettivo nato ai tempi dell’infanzia.
Poi, per una serie di coincidenze, o presunte tali, il mio percorso esistenziale mi ha condotta in un angolo della montagna pistoiese, a pochi chilometri da Orsigna. Il mio rifugio è stata Maresca, piccola cittadina popolata da neanche duemila anime. Senza neanche saperlo, avevo scelto uno dei borghi frequentati da Tiziano quando ritornava nella regione che gli ha dato i natali. Raggiungendo proprio questi luoghi, un tempo terre di confine tra lo Stato della Chiesa e il Granducato di Toscana, sono riuscita ad andare oltre libri, articoli, citazioni, commenti riportati, carpendo sottili sfumature che hanno messo in luce l’essenza del Terzani-uomo. Sguardi, incontri, paesaggi, sorrisi mi hanno rivelato le ragioni del profondo legame che nutriva per queste zone, rimaste ancora immuni da ritmi frenetici, dall’edilizia selvaggia e dalla corsa all’edonistico materialismo.
Un’immagine di pace e serenità
Ci sono luoghi che incantano sin dal primo momento per un’inafferrabile, inspiegabile combinazione di elementi. È come se varcandone la soglia ci si sentisse a casa, provando un profondo calore e un’affinità istintiva. Maresca ha avuto proprio questo effetto su di me sin dalla prima volta che ho preso contatto con le sue viuzze e coi suoi abitanti. Il fascino di questo paese è dato dalla struttura urbanistica del nucleo centrale, sopravvissuto ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Una delle zone più caratteristiche è il Vicolo Medievale, il cui selciato di pietra, le case circostanti e l’arcata che guarda in direzione del fiume omonimo regalano una suggestiva prospettiva della storia. In questo angolo di Maresca sembra che il tempo sia fermo, placidamente sospeso tra finestrelle, ciottoli e ballatoi. Le viuzze sono in pendenza e anche questo aspetto conferisce al piccolo paese un fascino d’altri tempi. È soprattutto la calda disponibilità dei suoi abitanti che lo trasforma in un luogo vivibile, pervaso ancora da ritmi placidi e da una tangibile semplicità. Questo è stato il paese natio della giornalista, scomparsa in modo prematuro, Gusmana Bizzarri, amica di Terzani, che l’ho andò a trovare quando lui era in quel di Hong Kong. Ecco che le storie s’intrecciano. Pur avendo nel cuore Orsigna, Terzani si sentiva comunque vicino a Maresca, come ha ammesso lui stesso nel corso della presentazione del libretto La guerra del cartello (di cui si parlerà più avanti).
“Una delle ragioni per cui sono legato a Maresca – aveva esposto con la sua solita enfasi, nonostante la malattia che già lo logorava – è che per moltissimi anni mi ha accompagnato una precisa immagine della pace e della serenità. In quell’immagine rivedo mia madre ed io, con in mano un gelato, che scendiamo da quella viuzza. Ecco, quando la mia mente cerca pace e va alla ricerca di un’immagine di tranquillità penso a Maresca…”.
Questo legame, che derivava da un ricordo della sua infanzia, in fondo non lo ha mai abbandonato. Spesso percorreva le vie marescane, interagiva coi suoi abitanti, in particolare con la combriccola legata alla fantomatica société éditoriale mapsulonnaise (scritta rigorosamente con le iniziali minuscole). Ma, si sa, il vero vincolo sentimentale lo ha instaurato con Orsigna, come del resto suggerisce quella cartina immortalata nelle pagine del libro In Asia.
L’arte del distacco
Se Maresca appare un borgo ancora a misura d’uomo, ospitale e vivace, Orsigna sembra davvero un luogo anacronistico. Tracce di postmodernismo e di era digitale non ve ne sono. L’indole al commercio e all’artigianato che anima i marescani qui non ha messo radici, non per niente l’unica bottega del paese è lo spaccio della Bettina, descritto più volte e in più occasioni da Terzani. Eppure, nonostante l’apparente “nulla”, che in verità dietro alla scarna facciata nasconde un’immensa umanità, Orsigna è un posto magico. Ma non sono i racconti di streghe che lo rendono tale, bensì la rigogliosa, fitta natura. Osservando la vegetazione circostante è come se mente e anima entrassero in stretta simbiosi con il paesaggio. Una volta attraversata la piazza, e man mano che si prosegue lungo la strada, passando nelle vicinanze del Molino di Giamba e del Molino di Berto, lo sguardo si perde nelle distese di castagni, faggi, e poi ciliegi, abeti. C’è in questa natura qualcosa ancora di primordiale, che non è stato intaccato dall’avidità dell’uomo. Anzi, le persone nutrono un profondo rispetto verso l’ambiente in cui vivono e le poche abitazioni non contrastano con il bosco, ma si integrano con esso in modo armonioso.
Orsigna emana una sottile, impalpabile energia. È come se la disarmante umanità che si respira in ogni anfratto avesse la capacità di allontanare oscuri pensieri, di destrutturare tensioni e di squarciare orizzonti emotivi. Proprio qui, ho sperimentato in modo consapevole la cosiddetta arte del distacco. Era la fine di giugno e mentre viaggiavo per la prima volta verso questa “selva oscura”, nella mia mente si susseguivano una miriade di aspettative, ben presto offuscate da nuvoloni gonfi di pioggia il cui grigiore si intensificava via via che raggiungevo Orsigna. In quei giorni stavano tra l’altro realizzando dei lavori di pavimentazione della piazza del paese. Proprio a causa di questo imprevisto, ero impossibilitata a proseguire con l’auto verso Casa Cucciani da cui parte il sentiero intitolato a Terzani. Dovetti mettere la retro. Il cielo era minaccioso di pioggia e questo inatteso contrattempo avevano distolto la mia attenzione da ciò che stavo ricercando. Così, per una strana forma di agitazione, facendo retromarcia per raggiungere il parcheggio, ho urtato l’auto contro un muretto ricurvo. Non potevo pensare a un arrivo più tragicomico! Dopo una serie di respiri profondi e di rassicurazioni da parte della mia compagna di viaggio Paola, il nervosismo si è lentamente placato.
Mi ricordai di una frase di Secondo Calibano, alias Luther Blissett, alias Leonardo (ideatore della société éditoriale mapsulonnaise) che ha avuto il piacere di lavorare ad alcuni progetti con Tiziano Terzani:
“Gli ultimi scritti di Anam – mi aveva raccontato Leonardo nel corso di una cena a Gavinana – sono intrisi di richiami all’impermanenza e all’inutilità di eccessivi attaccamenti alle cose terrene”.
Nonostante l’inquietudine, era riemerso nella mia mente anche un aneddoto raccontato nel libro Un altro giro di giostra, in cui Terzani descrive la misteriosa scomparsa della sua preziosa Montblanc nera dopo essersi accomiatato da Tenzin Choedrak, direttore dell’Istituto Medico-Astrologico, nonché medico personale del Dalai Lama. In quell’incontro il dottor Choedrak gli aveva detto:
“In Occidente vi preoccupate troppo delle cose materiali”.
Guardavo la mia auto segnata da ammaccature posteriori e intanto pensavo a queste frasi. Ed è stato proprio in quel frangente che ho appunto vissuto l’arte del distacco, distogliendo la mia attenzione da quell’oggetto posto di fronte a me, per riporla invece su ciò che in quel momento era realmente importante: visitare Orsigna, interagire coi suoi abitanti e camminare nella natura, cercando di capire e carpire l’essenza di quell’ambiente tanto declamato da Terzani. Mi sono così allontanata fisicamente e mentalmente dalla mia auto. A ogni mio passo sentivo sciogliersi un peso, come se mi stessi liberando da inutili attaccamenti terreni.
Alla ricerca della semplicità
Quella giornata di fine giugno è proseguita incontrando persone disponibili e premurose. La signora Betta, “la Bettina” citata spesso da Terzani, dello spaccio di Orsigna, ci aveva gentilmente prestato l’ombrello che io e Paola non abbiamo nemmeno utilizzato nel corso della nostra passeggiata verso Casa Cucciani. Grazie infatti agli sbuffi d’aria i nuvoloni grigi si erano trasformati in nembi color avorio di varie forme e, di tanto in tanto, faceva capolino il sole. Coi suoi raggi illuminava la Valle dell’Orsigna, mettendo in risalto i colori della rigogliosa distesa boschiva dominata da faggi, castagni, ciliegi e cerri. Un ambiente caratterizzato da un’economia a vocazione agrosilvo-pastorale. Questa è infatti terra di pastori, taglialegna, carbonai. Mestieri ormai quasi scomparsi, le cui tracce sono tangibili percorrendo la Via del Carbone o visitando gli antichi molino di Berto e di Giamba, dove è possibile osservare il tradizionale processo di lavorazione delle castagne. Le dure e difficili condizioni di vita hanno costretto molte persone a emigrare anche all’estero e le nuove generazioni se ne stanno andando. Ma la gente rimasta all’Orsigna, pur dovendo affrontare i problemi legati alla modernità, appare sempre sorridente, pronta a rispondere alle domande di curiosi viandanti. La signora Betta è un’esperta in questo, dato che da lei passano tutti coloro che per la prima volta si dirigono verso l’ormai famoso “albero con gli occhi”.
È una donna di una gentilezza disarmante e aperta a elargire informazioni. Quando sono tornata nuovamente a Orsigna, sul finire di agosto, questa volta sola e senza aspettative, il cielo era terso e la giornata calda. Ho rivisto con piacere “la Bettina” e sono stata a lungo intrattenuta dai discorsi del signor Giancarlo, un simpatico vecchietto che da sempre ha vissuto in quel piccolo borgo, proprio nelle vicinanze del Mulino di Giamba. Credo sia la parola semplicità che meglio e più di tutte racchiuda l’essenza di quel luogo e dei suoi abitanti. Una semplicità che rivela un profondo calore umano e quella trasparenza d’animo sempre più rara da trovare.
La voce dei poeti
Ma Orsigna e altri borghi limitrofi sono luoghi in cui si nascondo, dietro a volti anonimi, cantastorie dall’animo romantico e ironico. E questo Terzani lo ha sperimentato in prima persona, alimentando, in un primo momento a sua insaputa, un appassionante contrasto poetico. Tutto ha avuto inizio a causa di un oscuro cartello su cui si leggeva la scritta “Foresta di Maresca”. Nulla di strano se solo quell’indicazione non si fosse trovata nella Valle dell’Orsigna. A scoprirlo e a rendere pubblico “l’anatema” caso vuole sia stato proprio Terzani che, ancora una volta, non si è sottratto dal mettersi in gioco, spronando gli orsignani ad attivarsi per rimuovere il cartello sacrilego. Ne è nata una petizione indirizzata al Sindaco di Pistoia, al Presidente della Provincia e alla Comunità Montana e poi ancora è stato creato una sorta di dazibao, chiamato La voce di Orsigna, ideato ovviamente da Terzani, che ha ripreso una diffusa tradizione cinese. A questi primi atti di stampo legalistico, è seguita una reazione ben lontana dalla scontata prassi burocratica. Infatti, come è ben descritto nel libretto intitolato La guerra del cartello (curato dallo stesso Terzani e dal già citato Leonardo, fondatore della société éditoriale mapsulonnaise), questo evento ha risvegliato l’essenza poetica degli abitanti di Orsigna e Maresca che invece di ricorrere a querele, hanno preferito cimentarsi in uno scontro combattuto a suon di rime per risolvere la diatriba legata all’esatta denominazione della foresta.
È stato recuperato così il linguaggio del cosiddetto contrasto, una vecchia usanza in voga non solo a Orsigna, caratterizzata da uno scambio di versi, in cui l’uno si fa beffa dell’altro intonando una rima in contrasto con quella del precedente oratore.
Terzani, involontariamente, aveva così attizzato una sfida in poesia in cui si rivela tutto lo spirito burlesco, fantasioso e arguto degli orsignani e marescani. Secondo Calibano, alias Luther Blisset, alias Leonardo mi ha raccontato che in occasione della realizzazione del libretto dove sono raccolte tutte le poesie firmate da anonimi cantori, poi usciti allo scoperto, Terzani non voleva essere coinvolto direttamente. Gli aveva detto: “M’impegno anch’io in questo progetto comprandone venti copie”. Poi, come era nella sua indole, non poteva lasciar correre, non poteva essere un semplice spettatore di eventi piccoli e grandi che fossero e così non solo ha realizzato l’introduzione de La guerra del cartello, ma ha curato le note e ha firmato la quarta di copertina col suo “non-nome”, Anam, riportato in sanscrito.
La poesia aleggia a Orsigna, così come nei vicini borghi. L’albergo dove alloggiavo, immerso nella Foresta del Teso, a pochi chilometri dal centro di Maresca, era ed è ancora un via vai di artisti anonimi che si dilettano a scrivere versi inneggianti la natura, l’antica ospitalità toscana, ma che ricordano altresì grandi figure del nostro tempo, che hanno lasciato un segno indelebile nella Storia. “Come giunco sono piegato, il tempo ha lasciato la sua mano. Solo le mie ali d’albatro non hanno mai smesso di credere”, si legge in una toccante poesia dedicata al padre del Sudafrica libero, Nelson Mandela, firmata da una sensibile poetessa.
Orsigna, Maresca, ma anche altre cittadine che costellano la montagna pistoiese, racchiudono una grande umanità, fatta di piccoli gesti, sorrisi, liriche poetiche. Umanità, semplicità e l’intensa energia della natura: sono forse stati questi i richiami che spingevano Tiziano Terzani a lasciare il misticismo dell’Asia per ritrovare pace nella contemplazione di luoghi ancora a misura d’uomo. Anch’io tra quei faggi e borghi ho lasciato parte della mia anima.
Silvia C. Turrin