Il tema della pace è quanto mai attuale e al contempo abusato e deformato nei dibattiti pubblici. Lo stesso dicasi per la questione dei migranti, su cui aleggiano equivoci e incomprensioni pregne di demagogia e razzismo, al fine di diffondere messaggi volti a creare pericoli e paure.
Pace e migrazioni sono argomenti che vanno spesso a braccetto, poiché conflitti e violenze spingono le persone a fuggire, per approdare laddove non domina il linguaggio brutale e disumano delle armi.
Pace, inclusione, meticciato sono al centro delle riflessioni e del lavoro di Cheikh Tidiane Gaye, docente liceale di filosofia e scienze umane a Milano, nonché poeta e scrittore, nominato Cavaliere delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese.
Nato in Senegal, Cheikh è giunto in Italia nel 1997, dove si è laureato in Metodologie Filosofiche presso l’Università degli Studi di Genova.
In questi anni, attraverso la sua attività letteraria, non solo ha rivalorizzato il lascito umano e culturale di Léopold Sédar Senghor (creando l’Accademia Internazionale Léopold Sédar Senghor di cui è Presidente), ma ha altresì promosso il dialogo tra i popoli.
È infatti da tempo impegnato in Italia e all’estero a favore della costruzione di un mondo di pace. Per questo suo intenso lavoro, Cheikh Tidiane Gaye ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il Premio per la pace Narges Mohammadi nell’ambito del Premio Internazionale di Poesia “Ciò che Caino non sa”; è stato inoltre nominato Ambasciatore della pace dall’Accademia delle Arti e Scienze Filosofiche di Bari.
Proprio per il suo instancabile lavoro a favore della fratellanza tra i popoli, sarà anche candidato al Premio Nobel per la Pace.
Nonostante i numerosi impegni, ci ha gentilmente concesso questa lunga intervista, che pubblichiamo in due parti.
Prima Parte
S.C.T. – Iniziamo dalle tue più recenti iniziative volte a diffondere messaggi e azioni orientante alla Pace. Un impegno suggellato anche da diversi riconoscimenti, tra cui il Premio per la pace Narges Mohammadi, a cui si aggiunge la nomina ad Ambasciatore della pace da parte dell’Accademia delle Arti e Scienze Filosofiche di Bari. Puoi raccontarci com’è nata l’idea di spargere semi di pace attraverso la piantumazione di ulivi, albero simbolo della non violenza e dell’armonia tra i popoli?
Cheikh Tidiane Gaye – «Nei miei scritti, affronto spesso il tema della pace, della libertà e dell’amore tra i popoli, così come nelle mie attività porto avanti il tema della pace anche per il tramite del Premio Internazionale di Poesia Léopold Sédar Senghor, da me ideato. Un Premio che ha ricevuto la medaglia del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati, nonché del patrocinio della Santa Sede e del patrocinio del Parlamento Europeo e di molte istituzioni.
In questi anni, ho proposto a vari sindaci italiani di piantare l’ulivo, albero simbolo del dialogo interreligioso, con l’intento di promuovere ed educare alla pace. Alcuni sindaci hanno sostenuto e aderito al progetto.
Si parla tanto di ecologia, dell’importanza di piantare alberi e di combattere l’inquinamento, ma credo che occorra anche un’ecologia della mente, delle idee. Piantare un ulivo significa aprire riflessioni sul presente e sul futuro al fine di migliorare il mondo. Concepisco il mondo come un bene da custodire. Credo fermamente nella libertà e nel dialogo. L’Accademia delle Arti e Scienze Filosofiche ha valorizzato questo mio impegno. Nel corso del mese di ottobre ho anche saputo che alcuni docenti mi candideranno al Premio Nobel per la Pace. È un onore, ma non è questo il mio obiettivo. Vorrei lottare fino al mio ultimo respiro per favorire il dialogo e l’amore tra i popoli».
S.C.T. – Nel tuo lavoro, nella tua vita e nelle tue iniziative mi pare di leggere un comune denominatore, che è l’Umanesimo o “negritudine aperta” di Léopold Sédar Senghor. Non è un caso che tu sia Presidente dell’Accademia Internazionale Leopold Sedar Senghor…
Cheikh Tidiane Gaye – «Léopold Sédar Senghor mi ispira profondamente. Amo la sua poesia e credo fermamente nella sua filosofia. Anche lui, nella sua tesi di simbiosi delle culture, poneva al centro l’essere umano. E sarà la Civiltà dell’Universale a orientarci e a salvarci: da qui il vero Umanesimo.
Ogni essere umano, indipendentemente dalla sua terra d’origine, dalla sua appartenenza linguistica, religiosa, dal colore della pelle, è chiamato a dare e a ricevere al fine di costruire un mondo migliore. Questo dare e ricevere diventa la chiave caratteristica dell’umano. Dobbiamo imparare a ri-diventare umani.