Dopo The light in the Shadow, strutturato in un’unica lunga suite elettronica, uno dei maestri contemporanei più visionari di ambient e di space music torna con un nuovo progetto, nato grazie all’influsso mistico del monte Shasta, luogo della California avvolto da incredibili leggende.
“La natura è e continuerà a essere la mia fonte di ispirazione. Ne sono immerso. Anche un cupo giorno di pioggia riesce a trasmettermi particolari suggestioni. Ogni tanto, quando ho voglia di isolarmi in montagna, porto con me il sintetizzatore. Così, creo musica circondato dai pini, mentre sento la brezza del vento che agita i rami”. Craig Padilla non incarna il classico stereotipo di chi realizza musica elettronica. Non rimane rintanato per ore e ore nello studio di registrazione e il suo modo di comporre risente non solo delle bellezze naturali, ma anche delle forze impalpabili e astratte che circondano il creato. Influenzato da Vangelis, Kraftwerk e Klaus Schulze, Padilla ha plasmato un proprio linguaggio sonoro fondato sull’ampio uso di sintetizzatori elettronici di vecchia e nuova generazione. I suoi album, accomunati dall’armonia fra morbide melodie e atmosfere tipiche della kosmische musik, fiorita in Germania all’inizio dei Settanta, vanno oltre i freddi giochi sintetici dei sintetizzatori. Ne è un’ulteriore prova l’ultimo progetto, Below the Mountain, in cui si ritrovano fascinazioni ambient e immagini sonore magnetiche e rarefatte. È una trama di riverberi musicali che sembrano fluttuare in una dimensione astratta o nei freddi abissi dello spazio siderale.
“Below the Mountain rappresenta una selezione della musica che ho scritto in questi ultimi anni, spiega Padilla. Mi sono reso conto di aver registrato parecchio materiale, tanto da poter realizzare un triplo album! Alla fine, però, ho deciso di pubblicare un solo cd, ma è stato difficile scegliere le tracce. Per fortuna, Howard Givens della Spotted Peccary Music, l’etichetta dei miei album, mi ha aiutato in questo difficile compito. Il titolo, Below the Mountain, s’ispira in particolare al monte Shasta. Imponente… Lo posso osservare stando comodamente a casa mia. Riesco ad ammirare anche il Lassen, un vulcano ancora attivo!
Vivo nel nord della California, nei dintorni di Redding, a 45 minuti dal monte Shasta. La scelta è nata non solo perché è una zona bellissima, ma anche per motivi di lavoro sia miei, sia della mia compagna Brooke. Per comprendere a fondo Below the Mountain, devi sapere che il monte Shasta è considerato un luogo profondamente spirituale. Alcune persone credono addirittura che al suo interno viva un popolo le cui origini risalgono all’antico continente chiamato Lemuria . La musica che avevo scritto mi sembrava essere avvolta da un alone di spiritualità. Forse, ho pensato, le atmosfere meditative e mistiche sono nate proprio perché vivo ai piedi di questa vetta sacra. Howard ha voluto scattare una fotografia della montagna e il risultato è diventato l’artwork della copertina di Below the Mountain. Sono davvero soddisfatto di questo lavoro, perché è piuttosto differente rispetto alle mie produzioni sinora realizzate su etichetta Spotted Peccary, caratterizzate soprattutto da space music. Below the Mountain è sviluppato soprattutto entro una cornice ambient, con un flusso musicale tranquillo. Ho poi inserito anche momenti decisamente pieni di energia. Nella traccia finale, “Alturas”, ho inserito percussioni dal ritmo ipnotico e la mia compagna, Brooke, ha aggiunto i suoi bellissimi vocalizzi. Il tutto è impreziosito da atmosfere eteree e upbeat. Un ruolo importante lo ha rivestito Bruce Turgon, che ha masterizzato la musica nel suo Acara Music Studio”.
“Wandering Thought” è una delle tracce più suggestive. È nata da un particolare momento o da un’emozione?
“L’avevo scritta come brano da inserire nella soundtrack di un film horror, Blackout, prodotto e diretto dal regista Robert Massetti, che vive in Florida. Quel pezzo ho deciso di recuperarlo e modificarlo in alcune sequenze. Ho aggiunto più ritmo. Mi sono ispirato all’idea che tutti gli elementi vagano gli uni attorno agli altri in cerca di un pensiero comune…”.
Molti artisti scrivono attingendo a piene mani alle possibilità oggi offerte dalla tecnologia. Lei utilizza ampiamente vari tipi di sintetizzatori, ma come si sviluppa esattamente il suo processo di scrittura?
“Uso il mio computer come una sorta registratore dove immagazzinare una sequenza di tracce ed è un fantastico strumento per modificare i suoni. Noi musicisti siamo fortunati a vivere in un’epoca in cui abbiamo la possibilità di riprodurre qualsiasi suono e di realizzare qualsiasi forma di manipolazione concepita dalla nostra immaginazione. Abbiamo poi a disposizione una buona varietà di sintetizzatori analogici e digitali: molti li utilizzo insieme a Skip Murphy, amico e collega di lunga data. La maggior parte della musica la scrivo usando il sequencer, basato sull’Ensoniq ESQ-1, che invia segnali MIDI ai vari sintetizzatori. Alcune tracce di Below the Mountain sono state sviluppate attraverso un incredibile software chiamato Reason. Generalmente esporto le tracce in un programma di registrazione per aggiungervi tutta la parte musicale creata con il mio sintetizzatore. In pratica, unisco la vecchia generazione di sintetizzatori con quelli digitali. Credo che questo mix funzioni alla grande!”
In genere, ascolta la musica da un punto di vista analitico-tecnico o si lascia trasportare dalle sensazioni, partendo da un livello più emotivo?
“Mi piace sedermi comodamente, indossare la cuffia e lasciarmi circondare dalle note. Mi sento ispirato da ogni tipo di musica e ascoltare anche le produzioni elettroniche realizzate da altri colleghi. Se qualcosa mi entusiasma, mi diverto ad analizzare come i suoni sono stati creati, per poi trasformarli usando il mio stile e le mie tecniche. Talvolta, capita che sentendo un pezzo altrui elabori una nuova idea, magari molto differente rispetto alla struttura musicale del brano originale e mi metta poi a lavorare partendo da questa idea embrionale”.
Ritiene che la space musiccontemporanea abbia lo stesso slancio creativo di quella elaborata negli anni Settanta?
“Credo che molti musicisti di oggi siano degli autentici visionari, grazie alle possibilità offerte dai nuovi sintetizzatori. La manipolazione di cui parlavo prima, resa possibile dai computer e dagli apparecchi digitali permette alla creatività di sbizzarrirsi coi suoni”.
I suoi album descrivono in musica galassie, pianeti, mondi appartenenti alla dimensione onirica. Visualizza proprio queste immagini quando compone?
“Direi di sì. Come suggeriscono i titoli dei vari brani, il cosmo è una fonte a cui attingo per elaborare melodie e trame elettroniche. Mi lascio poi affascinare da qualsiasi suggestione eterea, sognante, spirituale. Alcune persone sostengono che la mia musica abbia qualità quasi celestiali che, in qualche modo, riesco a generare attraverso i sintetizzatori. Ma non ho mai progettato nulla. Tutto è molto spontaneo. Cerco solo di condurre per mano l’ascoltatore attraverso un viaggio la cui meta, in fondo, è assolutamente non pianificata, soggettiva”.
Silvia C. Turrin©