Alla notizia della morte di Stephen Hawking le reazioni di milioni di persone nel mondo sono state sorprendenti. Commozione, ammirazione, stima hanno dominato i commenti relativi al decesso del cosmologo, fisico, matematico e astrofisico britannico. Reazioni emotive alimentate certamente dalle incredibili scoperte fatte da Hawking, relative alla cosmologia quantistica, alla teoria dei buchi neri e all’origine dell’universo. Ammirazione e commozione derivate anche dalla caparbietà, dalla forza, dal coraggio che Hawking ha [di]-mostrato al mondo a dispetto della malattia degenerativa.
Scoprì di avere la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) a soli 21 anni. Nonostante ciò, ha superato lo shock iniziale, ha oltrepassato la facile tentazione di deprimersi, di gettare la spugna e di non proseguire gli studi (complessi) di cosmologia. Anzi, ha rivoluzionato la disciplina in questione, ha avuto due mogli e tre figli, e ci ha lasciato in eredità un vasto patrimonio di conoscenze non soltanto di carattere accademico e scientifico.
Sì, perché la vita di Stephen Hawking può essere da esempio a tutti coloro che vivono una profonda sofferenza non solo fisica, ma anche emotiva.
La storia di Hawking ci ha fatto pensare proprio al concetto di sofferenza. La malattia di Hawking certamente gli procurava grande sofferenza, che avrebbe potuto divenire ancor più forte e intensa se Hawking non avesse reagito alla sua condizione immutabile. Egli, scienziato di fama internazionale con un alto quoziente intellettivo, era impotente di fronte alla degenerazione della SLA. Eppure, proprio grazie alla sua intelligenza e alla sua caparbietà, insieme alla voglia di vivere una vita piena e ricca di emozioni, ha saputo non aggravare ulteriormente il peso della sua sofferenza deprimendosi. Non si è lasciato sopraffare dal dolore, dal senso di ingiustizia, perché sapeva che la vita va oltre la malattia, va oltre la materialità del corpo fisico.
Parlare qui di Stephen Hawking può sembrare fuorviante, ma non è proprio così. Siccome tutto è interrelato, allora l’esperienza di questo grande scienziato ci tocca un po’ tutti da vicino.
Egli ci ha mostrato chiaramente come funzionano le Quattro Nobili Verità:
1-la sua vita è stata caratterizzata dalla sofferenza legata alla malattia degenerativa
2-sapeva qual’era la causa della sua sofferenza
3-sapeva che in qualche modo poteva eliminare un certo tipo di sofferenza, quella che l’avrebbe portato a commiserarsi e a rinchiudersi in se stesso
4-ha scoperto la via attraverso cui vivere comunque una vita ricca di significato e felice.
Molte persone aumentano la propria sofferenza lamentandosi, talvolta ingiustamente. Per esempio, ci si arrabbia perché la commessa non è stata gentile e non ha sorriso; perché a causa di un parcheggio maldestro si sono rotti i fanali posteriori dell’auto; perché il collega non ha riso per una nostra battuta ironica su di un altro collega non presente; perché ci siamo svegliati con un forte mal di testa…
Ci sono sofferenze che non possiamo controllare, altre le possiamo attenuare e altre ancora le possiamo eliminare, come quelle derivanti da ansia e affaticamento.
Ci sono anche altri tipi di sofferenze di cui siamo gli unici artefici, come quelle causate dall’avidità o dall’orgoglio o dalla malevolenza o ancora dall’invidia.
Nelle nostre mani abbiamo il potere di vivere perennemente nella sofferenza o di trasformarla in qualcosa che possa arricchire la nostra vita e quella degli altri.
Stephen Hawking ci ha insegnato che è possibile andare oltre la sofferenza e realizzare qualcosa di davvero straordinario per se stessi e per il mondo intero.
“Una profonda sofferenza può aprire le porte della mente e del cuore, rendendoci disponibili agli altri” – Tenzin Gyatso
Silvia C. Turrin
Articolo pubblicato anche sul sito: Nel Cuore della Meditazione