Il Buddhismo comprende varie scuole di pensiero o indirizzi. Vi è il Buddhismo delle origini, noto con il nome di hinayana (del piccolo veicolo) o theravada (degli anziani). Chiamato anche Scuola del Sud, poiché si è diffuso in particolare in Birmania, Thailandia, Cambogia, Laos e Sri Lanka, mira alla salvezza del singolo e all’eliminazione della sofferenza, attraverso la pratica degli insegnamenti del Buddha. L’altra principale scuola di pensiero è il Buddhismo mahayana (o del grande veicolo). Sul piano dottrinale, si discosta da quello theravada in quanto predica l’ascetismo, inteso come atteggiamento di compassione e saggezza. L’asceta rinuncia alla propria salvezza per offrirla a vasti strati sociali, mentre quello hinayana afferma che ogni uomo deve salvarsi da solo praticando le virtù. Proprio dal Buddhismo mahayana si è originato il pensiero zen.
Il termine Zen è di origine giapponese, ma l’effettiva matrice storica proviene dalla parola cinese ch’an e da quella sanscrita dhyana, traducibili come “meditazione”. Non a caso ch’an indica proprio la posizione seduta da meditante che costituisce la pratica centrale del Buddhismo. Chiamato in India e in Cina anche “via della liberazione”, lo zen oltre a basarsi sugli insegnamenti del Buddha, ha incorporato il pensiero di grandi filosofi cinesi, quali Lao Tzu, Ciuang Tzu e Lieh Tzu. Si può infatti considerare una sintesi delle tradizioni culturali indiane e cinesi. Il monaco indiano Bodhidharma è ritenuto essere colui che ha introdotto il pensiero zen in Cina, nel 520 d.C. In realtà, prima di lui, vi sono stati altri precursori importanti che hanno gettato le basi di tale corrente buddhista, come Hui-neng e Sung-chao. A partire dal XII secolo il buddhismo zen si è profondamente radicato nella cultura del Giappone, qui importato dal monaco Eisai, che ha fondato monasteri a Kyoto e a Kamakura. Nel Paese del Sol Levante lo zen è penetrato in molte sfere non solo sociali: ha influenzato l’architettura, la poesia, il giardinaggio (bonsai e ikebana) e le arti marziali (karate e judo).
Il buddismo zen non è un sistema filosofico, né una religione. È piuttosto una pratica basata su una precisa visione della vita. Lo scopo ultimo è il superamento totale di ogni formalismo e attaccamento terreno. Per raggiungere la consapevolezza reale è necessario andare oltre il mondo fittizio o delle illusioni svuotando la mente da ogni pensiero e il cuore da ogni desiderio. Centrale è dunque la concezione di “vuoto” che non è affatto sinonimo di negazione o cessazione, bensì si riferisce a una condizione dinamica, da cui può emergere qualunque possibilità. Il “vuoto” contiene il Tutto secondo uno dei principi fondanti lo zen (derivato dal Taoismo) ed è raffigurato da un simbolo dalla forma circolare chiamato enso (un cerchio vuoto). Questo ideogramma rappresenta in fondo l’idea secondo cui è necessario entrare in contatto con la verità in modo spontaneo, attraverso la meditazione o contemplazione senza oggetto. Attraverso la meditazione si raggiunge questa condizione di “vuoto” che conduce alla consapevolezza dell’unità dell’essere, ovvero l’illuminazione. Per il Buddhismo tradizionale l’illuminazione, detta nirvana, si può raggiungere solo rinunciano al mondo e distaccandosi completamente da esso. Per il Buddhismo zen l’illuminazione, chiamata satori, si ottiene attraverso una partecipazione attiva e consapevole della vita. L’unità dell’essere si percepisce rispettando e interagendo con ogni essere vivente e con ogni elemento naturale.
Lo stato di profonda consapevolezza interiore si raggiunge rimanendo semplicemente seduti, immergendosi nel silenzio e nell’immobilità. È la cosiddetta postura zazen: si medita a occhi aperti rimanendo seduti nella posizione yogica chiamata “del loto completo” (a gambe incrociate) su un cuscino rotondo detto zafu. In questa posizione si percepisce il libero fluire del respiro e si libera la mente, poiché l’attenzione viene rivolta verso le profondità del Sé. Il silenzio, i respiri, la concentrazione verso la dimensione interiore permettono al praticante di osservarsi da dentro, di conoscersi e di sentirsi unito con il cosmo. La pratica meditativa si estende nella vita quotidiana, proprio per arrivare all’illuminazione, raggiungibile solo partecipando consapevolmente al mondo. Il lavoro e le mansioni di ogni giorno sono dunque la prosecuzione della meditazione zen.
Articolo di Silvia C. Turrin © pubblicato anche sul sito nonsoloanima