Nell’estate 2010 ho incontrato all’ospedale di Erba, nel suo laboratorio, il medico-scrittore Kossi Komla-Ebri. Più che un’intervista è stata un lungo, interessante incontro/dialogo relativo alla situazione socio-culturale italiana.
Tanti i temi affrontati. L’intervista è stata pubblicata sull’ultimo numero del trimestrale Afriche, ma non è la versione integrale: è stata tagliata soprattutto per motivi di spazio.
Dato che Kossi Komla-Ebri ha sviscerato molti punti interessanti, una versione più lunga la pubblico in questo spazio virtuale…qui di seguito:
Il suo nome completo è Kossi Amékowoyoa Komla-Ebri. È però conosciuto anche come el dütür, “il dottore”, nel dialetto comasco; lavora infatti nel Laboratorio Analisi, presso l’ospedale Fatebenefratelli di Erba (Co), come coagulologo, anche se si è laureato in Medicina e Chirurgia a Bologna, nel lontano 1982. Quando pronuncia la parola “coagulologo” sorride, ironizzando sulla difficoltà, anche per un italiano, nell’enunciarla. Komla-Ebri, togolese, classe ’54, da 36 anni nel “Belpaese”, ha l’indole sarcastica rispetto a ciò che osserva e sperimenta. Lo ha dimostrato nel volumetto Imbarazzismi, pubblicato nel 2002 (Edizioni dell’Arco-Marna), dove affronta situazioni vissute in prima persona o da amici, sospese tra razzismo, provincialismo e imbarazzo. Kossi Komla-Ebri non è solo medico, ma è uno dei pionieri, in Italia, della letteratura della migrazione, autore di racconti (ricordiamo Vita e Sogni e All’incrocio dei sentieri) e del romanzo Neyla. Un incontro, due mondi. Nella raccolta di aneddoti Imbarazzismi, lo scrittore togolese, con nazionalità anche italiana, ha cercato di sdrammatizzare atteggiamenti, che sconfinano in un razzismo latente, verso “i diversamente visibili”: definizione in cui si ritrova la sua sottile ironia per indicare i “non bianchi” . Sono trascorsi 8 anni dall’uscita di quel libretto e in questo periodo, la sua essenza ironica e il suo sguardo fiducioso verso il futuro sono stati fortemente minati da un vento pericoloso e tumultuoso che sta soffiando lungo tutta la penisola, da nord a sud, e che investe l’attuale situazione degli immigrati, in una società italiana non ancora pronta per il multiculturalismo.
«È un periodo difficile in Italia. Sono molto deluso da questo Paese. Ed è penoso per me doverlo ammettere, perché quando sono venuto qui dalla Francia, all’inizio degli anni Settanta, ero convinto di aver fatto la scelta giusta. Oggi non lo ripeterei. Sono molto amareggiato. Pensavo che gli italiani fossero persone aperte e credevo nel detto “italiani brava gente”. Scrivere Imbarazzismi è stato un modo per prendere con leggerezza forme sottili di razzismo e un certo provincialismo. Nel presente, devo ammettere, non lo scriverei più con quello stile leggero e ironico, perché l’Italia che mi aveva accolto non c’è più. Negli ultimi tre anni, è in atto un processo culturale involutivo molto pericoloso, come testimoniamo alcuni episodi inquietanti».
Il medico-scrittore si riferisce non solo ai recenti scontri a Rosarno, tra forze dell’ordine, abitanti e immigrati vessati dalla ’ndrangheta, ma anche ad altri fatti di cronaca. «Mi riferisco al pestaggio dello scrittore senegalese Pap Khouma, insultato e picchiato dai controllori dell’Atm di Milano, mentre scendeva dal tram. E poi, nel 2008, l’assurda morte di Abdul Guiebre, diciannovenne, originario del Burkina Faso, con cittadinanza italiana, ucciso a sprangate per una scatola di biscotti, forse rubata, forse no. E ancora, nel 2009, sempre a Milano, Mohamed Ba, attore, scrittore e musicista senegalese, impegnato sui temi dell’antirazzismo e dell’integrazione, è stato accoltellato. Se prima il razzismo in Italia era latente, questi e altri casi dimostrano che si è trasformato in fenomeno sociale e politico allarmante! A ciò hanno contribuito alcune leggi italiane sempre più discriminatorie verso coloro che definisco i diversamente visibili».
Komla-Ebri rammenta un altro episodio di stampo razzista, avvenuto circa vent’anni fa in Italia: l’assassinio, nel 1989, ad opera di una banda di criminali, di Jerry Essan Masslo, sudafricano, nato a Umtata. Masslo scappò dal regime dell’apartheid, ma a lui non fu riconosciuto lo status di rifugiato politico. Quell’evento fu determinante per il varo della legge Martelli, che ha riconosciuto agli stranieri extraeuropei sotto mandato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati lo status di rifugiato, eliminando la clausola della limitazione geografica per i richiedenti asilo politico, e ha introdotto i diritti dei lavoratori stranieri. Quel tragico episodio portò alla prima manifestazione antirazzista mai organizzata in Italia sino ad allora.
«Giovani banditi della zona di Villa Literno volevano i suoi soldi. Masslo ha resistito e lo hanno ucciso», ricorda con tristezza lo scrittore italo-togolese. «È stato uno shock nazionale. È da quella disgrazia che abbiamo cominciato a scrivere. È stato proprio quello lo stimolo per la creazione del nostro filone letterario dei migranti, in Italia. È un evento che ricordo anche perché da allora, sino a 3 anni fa, non si sono mai più verificati fenomeni lampanti di tipo discriminatorio in questa nazione. La situazione è ora profondamente diversa».
È opportuno citare anche la denuncia espressa già nel 2007 da Doudou Diene, incaricato Onu per valutare i fenomeni del razzismo, della discriminazione sociale e della xenofobia: “La società italiana sta facendo i conti con un’inquietante crescita delle manifestazioni di razzismo e xenofobia, che riguardano in particolare le comunità nomadi e gli immigrati e richiedenti asilo soprattutto di origine africana”. Doudou Diene parla di “società italiana” e anche Kossi Komla Ebri non se la sente più di distinguere tra l’atteggiamento dei cittadini italiani verso gli immigrati e l’orientamento della classe politica verso il fenomeno dell’immigrazione.
«Una volta pensavo che gli italiani fossero buoni, mentre i politici cattivi. Però, dopo un’analisi realistica, ho dovuto cambiare idea. È illusorio a livello intellettuale fare questa distinzione. La politica attuata dall’èlite di governo è ciò che gli italiani vogliono, poiché i politici vengono votati dai cittadini. È davvero triste ammetterlo, ma è meglio partire da questa considerazione. Continuo a dirlo anche agli altri immigrati: non illudetevi che il governo stia facendo cose contrarie alla volontà dei cittadini! Naturalmente, c’è una minoranza in Italia che non è d’accordo con questa politica. Non so se si tratti di una minoranza o di una maggioranza silenziosa che non è d’accordo. Però, non manifestando il proprio dissenso, questa “maggioranza silenziosa” sarà sempre di fatto una minoranza rispetto agli altri che urlano».
Secondo lo scrittore italo-togolese, questo vento razzista trae origine da vari fattori, come la crisi economica, ma soprattutto, la causa primaria è da ricercarsi nell’involuzione culturale che sta mietendo principi etici e morali, come l’accoglienza ai bisognosi e a chi fugge da povertà, carestie, conflitti.
«Mi dispiace dirlo, perché mia moglie è italiana, i miei figli sono italiani, ed io ho scelto l’italiano come lingua di espressione letteraria, e ho scelto questo Paese per far crescere i miei figli. Mi sono fidato totalmente dell’Italia. Ma i dirigenti di questa nazione la stanno trascinando sempre più in un baratro, come dimostra la recente visita del colonnello libico Gheddafi. L’accordo economico con quel furfante è un fatto gravissimo, perché pur di avere accordi commerciali con la Libia, l’Italia si sta svendendo. Affidare a Gheddafi, un terrorista, a guardia della “fortezza Europa”, attraverso il contenimento e il controllo degli sbarchi è un pericolo! È lui che ha trasformato il mare Mediterraneo da luogo di cultura a cimitero a cielo aperto, dove le persone muoiono e dove sulle sue coste, fra qualche anno, scopriremo delle fosse comuni. E in Europa diranno: “Ma noi non pensavamo!” Adesso tutti fanno finta di niente pur di accontentare la pancia e accontentare coloro che hanno creato il reato di clandestinità».
Secondo lo scrittore, l’atteggiamento di ostilità verso gli immigrati che si sta intensificando in alcuni strati della società, deriva anche da una nuova “ideologia”, radicatasi sempre più in Italia, alimentata, da un lato, da certi politici privi di principi etici e morali, dall’altro, da “simboli patinati” dello show-business televisivo, che hanno contribuito a condizionare negativamente la mente del cittadino medio.
«Ci sono forze politiche, in questo paese, che cavalcano l’onda dell’immigrazione per raccogliere voti tra fasce sociali scontente e condizionabili», continua Kossi Komla-Ebri, «facendo credere che gli immigrati possano mettere in crisi l’identità italiana. Ma esiste davvero un’unica, specifica, statica identità italiana? Io credo che la questione di fondo sia una crisi valoriale e la recessione economica sia solo la punta dell’iceberg di una situazione molto più complessa. Se l’Europa si lamenta della crisi economica, l’Africa allora cosa dovrebbe dire? Chiunque con un po’ di buon senso capisce che le vere cause dei processi d’immigrazione sono la desertificazione che sta avanzando in Africa, i conflitti, la mancanza di prospettive occupazionali. Come può un contadino togolose legato ancora a vecchi sistemi di aratura competere con un agricoltore dell’America del Nord che utilizza la trebbiatrice? O competere con i coltivatori europei che ricevono sovvenzioni? È irrazionale analizzare il fenomeno immigrazione da un solo punto di vista. Un ragazzo africano, se avesse avuto la possibilità di lavorare nel suo Paese e di stare coi suoi familiari, non avrebbe deciso di lasciare tutto per soffrire, subendo discriminazioni…».
Intervista di Silvia C. Turrin©