Pubblico qui un interessantissimo articolo scritto da uno dei pochi giornalisti viventi che ammiro e stimo per la sua onestà intellettuale, perché non succube dei poteri forti, e perché ha realizzato decine e decine di reportage che tutti dovrebbero conoscere.
Lui è John Pilger, già inviato di guerra in Vietnam, Cambogia, Egitto, India, Biafra (sude-est Nigeria) e Palestina, nonchè autore del libro – fra gli altri – “Hidden Agendas” dove si leggono le cronache di tante guerre e situazioni internazionali non deformate dalle lenti falsificate dei poteri forti.
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E’ in corso un’invasione dell’Africa a tutto campo. Gli Stati Uniti stanno dispiegando truppe in 35 paesi africani, a cominciare da Libia, Sudan, Algeria e Niger. La notizia, riferita dall’Associated Press a Natale, non è apparsa su alcun canale mediatico anglo-statunitense.
L’invasione non ha pressoché nulla a che fare con l’”islamismo” e quasi tutto a che fare con l’acquisizione di risorse, in particolare minerali, e con l’accelerazione della rivalità con la Cina. Diversamente dalla Cina, gli Stati Uniti e i loro alleati sono pronti a usare il grado di violenza dimostrato in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen e Palestina. Come nella guerra fredda, la divisione del lavoro prescrive che il giornalismo e la cultura popolare occidentali mettano a disposizione la copertura a una guerra santa contro un “arco minaccioso” di estremismo islamico, non diverso dalla fasulla “minaccia rossa” di una cospirazione mondiale comunista.
Memore della Partenza per l’Africa della fine del diciannovesimo secolo, il Comando Africano Statunitense (Africom) ha costruito una rete di supplici tra i regimi africani collaborativi, bramosi delle tangenti e degli armamenti statunitensi. L’anno scorso l’AFRICOM ha inscenato l’Operazione Impresa Africana, cui hanno partecipato le forze armate di 34 nazioni africane, comandata dall’esercito USA.
La dottrina dell’Africom del rapporto “da soldato a soldato” pervade gli ufficiali statunitensi a ogni livello di comando, dal generale al sergente maggiore. Mancano soltanto i caschi da esploratore.
E’ come se la fiera storia di liberazione dell’Africa, da Patrice Lumumba a Nelson Mandela, fosse stata consegnata all’oblio da una élite coloniale nera di un nuovo padrone la cui “missione storica”, avvertiva Frantz Fanon mezzo secolo fa, è la promozione di “un capitalismo rampante, anche se mascherato”.
Un esempio impressionante è il Congo orientale, uno scrigno di minerali strategici, controllato da feroci ribelli, a loro volta comandati dall’Uganda e dal Ruanda, i delegati di Washington.
Da tempo pianificata come “missione” della NATO, per non citare i sempre zelanti francesi le cui cause perse nelle colonie restano permanentemente di scorta, la guerra in Africa è diventata urgente nel 2011, quando il mondo arabo è sembrato liberarsi dei Mubarak e degli altri vassalli di Washington e dell’Europa. E’ impossibile esagerare l’isterismo che ciò ha causato nelle capitali imperiali. I bombardieri della NATO sono stati inviati non a Tunisi o al Cairo ma in Libia, dove Muammar Gheddafi governava le più vaste riserve petrolifere dell’Africa. Quando la città libica di Sirte è stata ridotta in macerie, le Forze Aeree Speciali Britanniche (SAS) hanno guidato le milizie “ribelli” in quello che da allora è stato denunciato come un bagno di sangue razzista.
Il popolo indigeno del Sahara, i tuareg, i cui guerrieri berberi Gheddafi aveva protetto, è fuggito attraverso l’Algeria in Mali, dove i tuareg rivendicano dagli anni 1960 uno stato separato. Come segnala il sempre attento Patrick Cockburn, è questa disputa locale, non al-Qaeda, che l’occidente teme di più nel nord-ovest dell’Africa…. “per quanto possano essere poveri i tuareg, vivono spesso sopra grandi riserve di petrolio, gas, uranio e altri minerali preziosi.”
Quasi certamente in conseguenza di un attacco franco-statunitense in Mali del 13 gennaio, un assedio a un complesso di estrazione del gas in Algeria è finito nel sangue, ispirando a David Cameron un momento da 11 settembre. L’ex uomo delle pubbliche relazioni della televisione Carlton si è infuriato per una “minaccia globale” che richiede “decenni” di violenza occidentale. Egli intendeva dire l’attuazione del piano industriale occidentale per l’Africa, assieme allo stupro della multietnica Siria e alla conquista dell’indipendente Iran.
Cameron ha ora ordinato l’invio di truppe britanniche in Mali e ha inviato un drone della RAF, mentre il suo ampolloso capo dell’esercito, generale Sir David Richards, ha trasmesso “un messaggio molto chiaro ai jihadisti di tutto il mondo: non provocateci; reagiremo con forza”, esattamente quello che i jihadisti vogliono sentire. La scia di sangue delle vittime del terrorismo dell’esercito britannico, tutte mussulmane, i casi di torture “sistemiche” che ora sono portati in giudizio, aggiungono un’ironia necessaria alle parole del generale. Una volta ho fatto esperienza dei modi “forti” di Sir David, quando gli ho chiesto se aveva letto la descrizione della coraggiosa femminista afgana Malalai Joya del comportamento barbaro degli occidentali e dei loro vassalli nel suo paese. “Lei è un apologeta dei talebani”, è stata la sua risposta. (In seguito si è scusato).
Questi sinistri comici vengono direttamente da Evelyn Waugh e ci consentono di avvertire la brezza avvolgente della storia e dell’ipocrisia. Il “terrorismo islamico” che è la loro giustificazione per il duraturo furto delle ricchezze dell’Africa non è stato che inventato da loro. Non ci sono più scuse per bersi la versione BBC/CNN e non conoscere la verità. Si legga Secret Affairs: Britain’s Collusion with Radical Islam di Mark Curtis (Serpent’s Tail) [Affari segreti: la collusione della Gran Bretagna con l’Islam radicale] oppure Unholy Wars: Afghanistan, America and International Terrorism di John Cooley (Pluto Press) [Guerre non sante: Afghanistan, Stati Uniti e terrorismo internazionale] o The Grand Chessboard di Zbigniew Brzezinski (Harper Collins) [La grande scacchiera], che fu la levatrice della nascita del moderno terrorismo fondamentalista. In realtà i mujahedin di al-Qaeda e i talebani sono stati creati dalla CIA, dalla sua omologa pachistana, la Inter-Services Intelligence, e dal MI6 britannico.
Brzezinski, Consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Jimmy Carter, descrive una direttiva presidenziale segreta del 1979 che avviò quella che è diventata l’attuale “guerra al terrore”. Per 17 anni gli Stati Uniti hanno deliberatamente coltivato, finanziato, armato e indottrinato gli estremisti jihadisti che “hanno immerso una generazione nella violenza”. Battezzata in codice Operazione Ciclone, è stata parte della “grande partita” per abbattere l’Unione Sovietica che, però, ha abbattuto le Torri Gemelle.
Da allora le notizie che persone istruite e intelligenti diffondono e si bevono sono diventare una specie di giornalismo alla Disney, rafforzato, come non mai, dalla licenza di Hollywood di mentire e di continuare a mentire. C’è l’imminente film della Dreamworks su WikiLeaks, una falsificazione ispirata da un libro che millanta il titolo per perfidi pettegolezzi di due arricchiti giornalisti del Guardian; e c’è Zero Dark Thirty, che promuove la tortura e l’omicidio, diretto dalla vincitrice dell’Oscar Kathryn Bigelow, la Leni Riefenstahl del nostro tempo, che pubblicizza la voce del suo padrone come fece la regista cocca del Fuehrer. Tale è lo specchio unidirezionale attraverso il quale a malapena intravediamo ciò che il potere fa in nome nostro.
traduzione di Giuseppe Volpe
Originale: johnpilger.com