Sono conosciuti anche col nome di “uomini blu”, per il colore del turbante che indossano e che colora di blu la loro pelle. Sono i Tuareg, popolo che da sempre affascina viaggiatori, antropologi e tutti coloro che amano le culture del Sahara maghrebino.
La loro storia è legata all’ambiente desertico, essendo da sempre un popolo nomade, con un modus vivendi unico. Le loro origini sono antichissime. I Tuareg discendono infatti dalle popolazioni berbere preistoriche del Mediterraneo, i Garamanti, nomadi-cacciatori-guerrieri.
I Tuareg vivono in varie zone del Maghreb, anche in Mali, nel Niger, nelle regioni dell’Air e del Ténéré. Essi si definiscono Kel Tamacheq, coloro che parlano il tamacheq, la loro lingua tradizionale. La cultura dei Tuareg è affascinante. Per esempio, la loro scrittura, chiamata tifinagh, è caratterizzata da un alfabeto composto solo da consonanti. Questi elementi linguistici hanno rafforzato l’identità di questo popolo fiero.
Con la colonizzazione prima, e con la modernizzazione dopo, la loro organizzazione sociale ha subito forti scossoni, soprattutto per quanto riguarda il loro stile di vita nomade: la maggior parte di questi uomini del deserto hanno dovuto adattarsi a nuovi modelli sedentari.
Molti si dedicano alla pastorizia, un’attività sempre più difficile a causa della scarsità dell’acqua e alla tendenza all’urbanizzazione. Altri si sono trasformati in esperte guide, che aiutano i viaggiatori a muoversi nelle zone desertiche che loro conoscono ancora molto bene.
Aspetti interessanti della loro cultura rimangono la poetica orale e la musica. La prima è stata valorizzata anche dal beato Charles de Foucauld (1858- 1916). Come egli aveva ricordato, fra i tuareg “tutti compongono versi, sempre in rima e ritmati secondo vari schemi propositivi”.
Grazie all’aiuto di un ex interprete militare, esperto di lingua araba e berbera, Padre de Foucauld ha raccolto testi poetici e redatto una grammatica della lingua tuareg. Nei suoi taccuini annotava: “Ho appena terminato la traduzione dei Vangeli in lingua Tuareg. È per me una grande consolazione che il loro primo libro siano i Vangeli”.
L’idioma dei Tuareg, il tamacheq, è una lingua poetica. La loro cultura è orale. Le poesie vengono recitate o cantate al suono dell’imzad, viola monocorde la cui storia si perde nella notte dei tempi. È suonata solo dalle donne, ed è uno strumento di alto valore sociale.
Si dice che “L’imzad è per i tuareg quello che l’anima è per il corpo”. La cultura e la conoscenza di questo antico strumento rischiano però di scomparire, perché è una tradizione che le giovani tuareg – immerse in una civiltà moderna – non considerano più come importante elemento identitario.
Attraverso l’imzad, le donne anziane cantano di guerre, amori, transumanze, di lussureggianti oasi. Un altro strumento diffuso fra i tuareg è il tehardent, liuto a tre corde, suonato da solo o unito alla calebasse (un frutto simile alla nostra zucca, tagliato a metà) usata come percussione.
I canti e le musiche del popolo Tuareg vengono diffusi oltre i confini del deserto sahariano dall’ensemble Tartit, una formazione colorata di donne e uomini che risiedono nel bacino del fiume Niger e nel nord del Mali. La parola Tartit significa “unione”. Indica la necessità di solidarietà tra i Tuareg e fra coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra.
Il gruppo Tartit si é formato in un campo profughi in Mauritania, dove i suoi componenti si erano rifugiati dalla repressione dell’esercito del Mali. La musica e i canti dell’ensemble Tartit sono la voce dei Tuareg che parla al mondo di antiche, fragili culture nomadi.
Silvia C. Turrin© L’articolo è on line anche sul sito SMA AFRICA