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Philip Glass – Quando l’inquietudine si trasforma in arte

Ci sono opere che, nonostante siano datate, riescono ad emozionare, non solo a un livello puramente sonoro. Al contempo, pur essendo prive di qualsiasi riferimento scritto, trasmettono idee, analisi, suggestioni. Questo non sorprende se l’opera in questione è firmata da un istrionico e geniale compositore come Philip Glass.

Sabato 22 maggio, al Palazzo dei Congressi di Stresa, nell’ambito delle Settimane Musicali del Lago Maggiore, l’artista statunitense ha riproposto uno dei suoi più grandi capolavori, Koyaanisqatsi. Life out of balance, realizzato nel 1983 per l’omonimo film che porta la regia di Godfrey Reggio. Il progetto, per l’epoca, era visionario, pioniere di un linguaggio artistico in cui musica e immagini sono in totale, stretta simbiosi: i suoni rafforzano l’estetica e i contenuti visivi si susseguono seguendo i movimenti delle note.

 

Una vita che va in mille pezzi

Il concerto di Stresa si è sviluppato proprio sulla scia di questa interconnessione: Glass, affiancato da una grande orchestra formata da musicisti di alto spessore, ha riprodotto simultaneamente la colonna sonora del film, mentre le immagini di Koyaanisqatsi scorrevano sullo schermo, in perfetta sincronia con le note del pentagramma. La forza dell’opera e del concerto va oltre la fusione concettuale e ritmica fra suoni e immagini. Sono i contenuti dell’intera performance a infondere energia e a trasmettere idee, che con la loro dirompente intensità entrano nella dimensione interiore dello spettatore, riportandolo alla vita reale. Come ogni opera d’arte, anche lo straordinario Koyaanisqatsi può essere interpretato a seconda della prospettiva con cui lo si guarda, a seconda della sensibilità dell’osservatore/ascoltatore. Contestualizzandolo al tempo presente, si può comprendere la scelta di Philip Glass di riproporlo al pubblico.

Nella lingua degli Hopi, antico popolo dell’Arizona, il termine “koyaanisqatsi” sta ad indicare la vita senza ordine, senza stabilità, una vita che va in mille pezzi. La musica e le immagini tratteggiano proprio questo significato, partendo dalle armonie e dalle bellezze della natura, coi suoi incredibili spazi e paesaggi, raccontati con sonorità pacate, cadenzate e sincopate, ma tranquille. L’instabilità e le inquietudini della società umana entrano lentamente, attraverso ambientazioni fisiche e musicali urbane, industriali, meccaniche, computerizzate. Il primato della tecnologia surclassa l’equilibrio tra uomo e natura, creando quella “vita senza ordine” che ha dato l’input alla genesi dell’opera. Non servono commenti o spiegazioni del processo creativo e dei significati sottintesi.

Come ha voluto sottolineare il regista Godfrey Reggio: «Koyaanisqatsi rappresenta un oggetto animato, un oggetto nel tempo che avanza, il cui significato dipende dallo spettatore. L’arte non possiede un significato intrinseco: in questo sta la sua potenza, il suo mistero e, di conseguenza, il suo fascino». È indubbio, tuttavia, che un attento spettatore sa cogliere le dinamiche che la musica e il film sviscerano, imperniate sul continuo sfruttamento della Madre Terra da parte della civiltà umana e sui tentacoli di dipendenza che la società informatizzata, sempre più digitale, porta con sé.

Philip Glass, con questa scelta, si è dimostrato ancora una volta un artista complesso, profondo e sensibile, confermandosi inoltre un compositore non solo precursore dei tempi, ma anche attento ai cambiamenti che investono socialmente e culturalmente l’umanità. La sua personalità geniale, nel corso del live, si è espressa poi “mimetizzandosi” con l’orchestra, senza mai atteggiarsi da primo attore. La grandezza non ha bisogno di essere esposta troppo sotto i riflettori.

Recensione di Silvia C. Turrin © pubblicata anche sul sito di Amadeus

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