Sino a qualche decennio fa, le forme di colonialismo in Africa erano evidenti e rintracciabili in modo abbastanza chiaro. Qualche potenza straniera deteneva il controllo politico, economico e amministrativo di alcune nazioni africane. Poi, dopo il processo di decolonizzazione, queste antiche forme di imperialismo sono state sostituite con metodi più sottili, portati avanti dai governi stranieri in modo indiretto, e anche da potenti multinazionali, impegnate a sfruttare le ingenti risorse minerarie di cui è ricco il sottosuolo di molti Stati africani. A ben guardare l’Africa di oggi, si può dire che le vecchie ambizioni di sfruttamento intensivo da parte delle potenze straniere non siano mai state accantonate. Anzi, la globalizzazione dei mercati e le politiche neoliberiste non fanno altro che depredare in modo occulto le ricchezze del continente nero. Ne è un esempio il cosiddetto land grabbing, l’accaparramento delle terre a prezzi irrisori, di cui avevamo già parlato sempre in questa rubrica nel numero 116 di Focus on Africa. In quell’articolo ci siamo concentrati più sullo sfruttamento delle terre africane da parte di aziende straniere, per la coltivazione di materiale organico usato poi per la produzione di biocarburanti usati in Europa e Stati Uniti. Ora vogliamo approfondire il discorso del land grabbing sviluppando altre considerazioni.
Si può dire che questa nuova forma di colonizzazione si sia intensificata per effetto della crisi alimentare avvenuta nel 2007-2008. La scarsità di risorse come la terra e l’acqua e quindi il cibo ha spinto governi, multinazionali e investitori stranieri a riporre l’attenzione ancora una volta alle grandi ricchezze dell’Africa. Così, paesi come Sudan, Etiopia, Egitto, Zambia, Kenya, Tanzania, Mali e Senegal hanno ceduto vasti appezzamenti di terra a basso prezzo, “regalandole” a soggetti provenienti da India, Arabia Saudita, Cina, Libia, Qatar, Emirati Arabi, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Canada. Sono queste le nazioni che stanno beneficiando di questo land grabbing. Dai dati forniti da Paolo De Castro nel libro Corsa alla terra (Donzelli Editore, 2011), si legge che: “dal 2000 in poi sono stati oggetto di negoziazione nel mondo dai 50 agli 80 milioni di ettari, di cui oltre i due terzi nell’Africa sub-sahariana, con Etiopia, Mozambico e Sudan ad aver concesso la quantità di superficie più rilevanti”. Ovviamente, dalla vendita di queste terre africane i popoli non traggono alcun vantaggio, anzi, tutt’altro […].
Silvia C. Turrin
L’articolo completo è consultabile su Focus on Africa n. 117 – Rubrica “VerdeNero”