La sua è una di quelle storie che aprono la mente e scaldano il cuore. È una storia iniziata nel lontano 1938, in Algeria, in una zona desertica puntellata dalle tipiche oasi sahariane. In questa terra Pierre Rabhi è cresciuto ascoltando la saggezza della nonna, osservando l’abilità artigianale del padre, fabbro e al contempo poeta, e rimanendo legato ai ricordi della madre, morta prematuramente di tubercolosi quando lui aveva solo 4 anni. In questa terra d’Algeria Pierre Rabhi ha visto la trasformazione di una società, il mutamento di ritmi e di tradizioni, per effetto della cosiddetta “modernità” e a seguito dell’arrivo dei coloni francesi.
È stata proprio la colonizzazione francese e la scoperta di grandi giacimenti di carbone che modificarono il modus vivendi degli algerini, alterando profondamente l’esistenza di famiglie e interi villaggi. Anche Pierre Rabhi ha subito gli influssi di questi cambiamenti, poiché il padre non poteva più mantenerlo, istruirlo, dopo la morte della moglie. Da qui, la scelta di farlo crescere in una famiglia europea. Con questo passaggio Pierre Rabhi è riuscito a crescere imparando i canoni di una cultura, quella francese, diversa, nuova rispetto alla propria, e conservando al contempo la cultura d’origine. Le sue radici algerine non le ha mai dimenticate, come non ha mai interrotto il legame con la Madre Africa.
Dopo aver sperimentato l’alienazione e l’ingiustizia del sistema industriale-capitalistico in una fabbrica parigina, Pierre Rabhi ha deciso di ascoltare la propria coscienza e quella dei suoi antenati ritornando alla terra. Dagli anni Sessanta sino ad oggi Pierre Rabhi la voce della terra l’ha sempre seguita, sino a diventare uno dei più importanti esponenti dell’agroecologia. Imparando e sperimentando l’agricoltura biologica e biodinamica nella sua fattoria nel dipartimento francese dell’Ardèche, sin dal 1961 il contadino filosofo nato in Algeria sensibilizza l’opinione pubblica mondiale sull’importanza del rispetto della terra, dell’ambiente, delle acque.
Il suo approccio all’agroecologia lo ha portato a lavorare in Mali, in Niger, in Marocco, in Camerun, in Burkina Faso, quando all’epoca c’era Thomas Sankara. In questi paesi africani ha educato comunità di contadini fornendo indicazioni sui principi e le applicazioni dell’agricoltura biologica, senza l’utilizzo di pesticidi e di concimi chimici. Pierre Rabhi ha cercato di mostrare nuove direzioni per combattere la siccità e le carestie. Il suo impegno non solo in Africa lo ha portato a essere riconosciuto a livello internazionale come esperto di sicurezza alimentare e nella lotta contro la desertificazione, tanto da partecipare a programmi specifici sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Lo stesso Sankara desiderava applicare nel “Paese degli uomini integri” i principi dell’agroecologia promossi da Pierre Rabhi, ma questo sogno di rivoluzione politica e agricola fu spezzato dal suo assassinio per mano di Burkinabé corrotti appoggiati dall’Occidente. “Sankara stava andando contro gli interessi delle multinazionali, come la Monsanto. Ogni volta che si afferma un essere umano con grandi qualità gli si impedisce di vivere. Penso a Gandhi, a Martin Luther King…” ci ha raccontato lo stesso Pierre Rabhi nel corso di un’intervista.
Anche il contadino poeta nato in Algeria sta, a modo suo, facendo una rivoluzione: criticando chi utilizza pesticidi e altre sostanze chimiche dannose alla Madre Terra; criticando i politici corrotti che sfruttano a loro piacimento le risorse naturali, impoverendo i popoli; promuovendo le pratiche di sostenibilità ambientale e i metodi dell’agricoltura biologica ed ecologica. Pierre Rabhi può essere paragonato al piccolo colibrì di una leggenda del popolo amerindio: nonostante il suo essere minuto il colibrì sprigiona una grande forza promotrice di cambiamenti positivi ed efficaci.
“Un giorno, dice la leggenda, ci fu un immenso incendio nella foresta. Tutti gli animali, terrorizzati e costernati, osservavano impotenti il disastro. Solo il piccolo colibrì si diede da fare e andò a cercare qualche goccia d’acqua nel suo becco per buttarla sul fuoco. Dopo un momento l’armadillo, irritato dai suoi movimenti irrilevanti, gli disse: «Colibrì, ma sei matto? Credi davvero che con poche gocce d’acqua spegnerai l’incendio?» «Lo so, rispose il colibrì, ma io faccio la mia parte».
“Fare la propria parte”: è questo il senso dell’operato di Pierre Rabhi e di chi lo ha seguito appoggiando la creazione del Movimento per la Terra e l’Umanesimo, prima, e il Movimento Colibri, poi.
Nel libro La parte del colibrì. La specie umana e il suo futuro (Lindau, 2014) Pierre Rabhi afferma: “È urgente mettere l’umano e la natura al centro delle nostre preoccupazioni e l’economia al servizio di esse. Ostinarsi a mantenere il profitto illimitato e la crescita indefinita come fondamento dell’ordine mondiale equivale a un vero e proprio suicidio”.
E prosegue più avanti scrivendo: “È tempo di dedicare nuovi mezzi alla vita e non alla morte, per la quale si costruiscono armi sempre più perfezionate. Pare che ne abbiamo talmente tante che saremmo in grado di distruggere trecento volte la terra! Che assurdità! Perché non destinare queste risorse finanziarie a programmi che costruiscano un mondo di semplicità, di rispetto del vivente, di pace?”.
Pierre Rabhi, anche in questo bel libro La parte del colibrì, come nei precedenti – tra cui Manifesto per la Terra e per l’uomo (Add editore, 2011) e La sobrietà felice (Add editore, 2013) – richiama l’urgenza di un cambio di rotta sul piano economico e sociale, a livello sia globale, sia individuale, ponendo l’accento sulla collettività, sul ruolo attivo della società civile, invitandoci a seguire la nostra vera vocazione, che, come lui afferma “non è quella di produrre e consumare fino alla fine delle nostre vite, ma di amare, ammirare e prenderci cura della vita in tutte le sue forme”.
Silvia C. Turrin
L’articolo è pubblicato anche sul sito SMA Afriche