La musica indiana ha il potere di diffondere suoni trascendentali, in particolare quella propriamente collegata ai canti vedici e tramandata da maestro a discepolo nel corso dei secoli. È una musica basata sui Raga, ovvero quell’antico sistema di note cadenzate, sviluppate secondo precisi dettami, che esprimono la mutevole e diversificata natura dell’uomo e del cosmo. Altrettanto importante nella musica non solo indiana, ma più in generale nel panorama sonoro orientale, è il Kirtan, pratica spirituale strettamente legata al Mantra Yoga, in cui è centrale la ripetizione di parole e suoni sacri. Lungo il percorso di conoscenza interiore e di realizzazione del Sé, il Kirtan è uno dei metodi che portano al risveglio di Bhakti, l’amore trascendentale. A questa antica pratica si ispira la vocalist statunitense Jaya Lakshmi, i cui dischi inneggiano all’antico misticismo dei canti Vedici. Dopo essersi laureata in Antropologia all’Università del New Hampshire e aver composto canzoni ispirate ai verdeggianti spazi naturali dell’Oregon, si è avvicinata alla spiritualità che avvolge l’India, terra caleidoscopio di fedi, paesaggi, usanze. È stato l’incontro con il guru spirituale Sri Govinda Maharaj a permetterle di entrare in contatto con una realtà differente rispetto a quella in cui è cresciuta. Ha appreso gli insegnamenti di Srī Caitanya e ha studiato il sanscrito, oltre che la letteratura Vedica. Il suo nome, Lakshmi, attribuitole dallo stesso Sri Govinda Maharaj, si riferisce a una delle divinità legate al Dharma, incarna la bellezza, la generosità e la sensualità. Aspetti, questi, che si ritrovano nella musica realizzata da questa interprete divenuta portavoce della cultura indiana. Dopo aver formato i Lost at Last – gruppo col quale ha dato vita a composizioni intimiste e spirituali – Jaya Lakshmi, nel 2003, ha realizzato il suo primo album solista, Ocean of Mercy, prodotto dalla Sequoia Records. Un lavoro intenso, che mette in luce le sue doti vocali e compositive, confermate più volte anche con prestigiose collaborazioni (ricordiamo quella con uno dei padri della new age, William Ackerman, col quale ha firmato Hearing Voices).
La voglia di sperimentare nuovi percorsi musicali le ha permesso di creare dischi in cui i canti vedici e strumenti indiani si amalgamano ai ritmi di altre culture, come quella andaluso-gitana. Jewel of Hari (2004) è un mosaico sonoro, composto da echi orientaleggianti e momenti di profondo intimismo meditativo. L’ultimo album, Sublime − prodotto da Steve Gordon (noto anche per i progetti Buddha-Lounge e Sacred Earth Drums) − prosegue nella direzione intrapresa coi precedenti lavori. Si sente il lirismo della tradizione sonora induista e la forte impronta mistica generata dalla ripetizione di mantra. Accompagnata da musicisti di alto spessore, quali Deva Priyo (sarod), Manose (bansuri) e Daniel Paul (tabla), Jaya Lakshmi tributa omaggio ad alcune divinità importanti nel pantheon induista, come Brahma, simbolo della creazione (con “Brahma Shanti”) e Shiva, figura che incarna colui che distrugge per ricreare e trasformare la realtà (con “Shiva Shankar”).
Altre tracce ipnotiche sono “Ohe! Vaisnava Thakura” (inclusa nella nostra compilation) e “Om Gurave”, perfette per entrare in una dimensione contemplativa, lontana dalle inutili corse al materialismo; una dimensione dove ritrovare quella pace interiore da sprigionare poi verso un mondo che, mai come adesso, anela e ha bisogno di armonia.
Articolo di Silvia C. Turrin ©