Nel corso del XIX secolo, mentre gli Stati europei si stavano orientando verso la spartizione dell’Africa, il Belgio rivolse i suoi interessi politico-economici verso un solo Paese, situato nel cuore del continente. Essendo una piccola nazione europea, il Belgio aveva bisogno di creare un dominio su un grande Stato, dotato di ingenti ricchezze. Le necessità geopolitiche, unite all’avidità di potere di re Leopoldo, resero il colonialismo belga uno dei modelli di dominazione più violenti e brutali che la storia africana conobbe.
Dall’esplorazioni geografiche alla politica di oppressione
Leopoldo II (1835-1909), re del Belgio, nutriva da tempo mire espansionistiche in Africa. Per indagare le varie possibilità di colonizzazione, nel 1876 egli convocò a Bruxelles un Congresso geografico i cui obiettivi, almeno a livello ufficiale, avevano una natura “umanitaria” e “civilizzatrice”. Da quel Congresso nacque un’associazione geografica, attraverso la quale venne finanziata la spedizione esplorativa lungo il fiume Congo, che fu condotta da Henry Morton Stanley. Mentre i francesi si stavano posizionando verso le regioni a nord del fiume Congo, i belgi attraverso Stanley si concentrarono nelle aree a sud, creando alcuni avamposti. Grazie a questa flebile presenza belga, Leopoldo II, durante la Conferenza di Berlino (1884-1885), riuscì a ottenere dalle altre nazioni europee il benestare per l’occupazione di quei territori. Nacque così lo Stato Libero del Congo, un’entità politico-amministrativa di proprietà del re belga, in cui i principi di libertà non erano affatto applicati alla popolazione locale. Di fatto, Leopoldo II aveva ottenuto la piena sovranità di quella porzione di Congo.
Ricchezza e genocidio
Il Congo era ed è una delle nazioni africane dotate di ingenti ricchezze naturali. Per Leopoldo II (nella foto qui sopra) questa fu una vera e propria manna, dato che doveva recuperare gli investimenti sostenuti per la conquista territoriale. Quello del caucciù, all’epoca, fu uno dei commerci più redditizi per il Belgio (grazie alla nascente industria dei pneumatici). Vennero create piantagioni dove i locali erano costretti a lavorare in condizioni di semischiavitù. Si trattava di lavoro coatto. Le persone erano obbligate con metodi brutali a raccogliere una precisa quota di cacciù: se non la raggiungevano venivano mutilati o addirittura uccisi. Il lavoro coatto venne imposto anche per la costruzione della rete ferroviaria. Già in un libro del 1899, di Pierre Mille, dal titolo Au Congo Belge si legge che: “La base della politica economica di re Leopoldo fu quella di formare un’armata abbastanza forte in grado di obbligare gli indigeni a pagare le tasse sull’avorio e sul caucciù”. Proprio a causa di ciò, i locali per poter vivere furono obbligati a lavorare alle dipendenze dei belgi.
Il collegamento tra imposizione fiscale obbligatoria e lavoro coatto modificò radicalmente la struttura sociale ed economica dei congolesi. A questo shock se ne aggiunse un altro: la violenza con cui l’amministrazione coloniale belga rispose per “convincere e costringere” le persone a lavorare non soltanto nelle piantagioni. Una violenza che provocò migliaia di morti. Come ha ricordato l’Agenzia Fides “almeno 10 milioni di persone hanno perso la vita tra il 1885 (anno di riconoscimento internazionale del Libero Stato del Congo) e il 1908, quando il Congo, da possedimento privato del Re, divenne una colonia del Belgio. La cifra di 10 milioni di morti è una stima prudente, alcune fonti parlano di 20 milioni di morti”. Si può parlare di un vero e proprio genocidio, che provocò di fatto un declino demografico.
Il pretesto della missione civilizzatrice e umanitaria
Leopoldo II riuscì a trasformare il Congo in una sua “proprietà personale” grazie al pretesto della missione civilizzatrice e umanitaria. Il colonialismo belga, seppur particolarmente brutale, presentava comunque similitudini alle modalità colonialiste di altre nazioni europee, soprattutto se si considerano le giustificazioni con cui si volevano mascherare le vere motivazioni della colonizzazione dell’Africa. Il paternalismo e l’eurocentrismo spingevano gli europei a “civilizzare” le popolazioni ritenute primitive.
In realtà, dietro tutto ciò si celavano interessi economici e manie di potere. Questo senso di superiorità nei confronti delle popolazioni locali, portò i colonialisti belgi a commettere atrocità e omicidi di massa. Interi villaggi furono ridotti in cenere, e migliaia di bambini, donne e uomini vennero mutilati o uccisi. Brutalità e violenze che calpestavano proprio quell’idea di “civiltà” dietro la quale gli europei (di allora e anche di oggi) si barricano ogni volta che intendono accaparrarsi le ricchezze di altri popoli per ottenere profitto.
Gli effetti nefasti di questa prima fase del colonialismo belga si ripercuoteranno negli anni successivi. Sebbene Leopoldo II sarà costretto a cedere la sua “proprietà personale” allo stato belga, di fatto le sorti del Congo non cambieranno. Potenze straniere e multinazionali cercheranno di conquistarsi le preziose risorse congolesi. Solo un uomo tenterà di modificare la politica di sfruttamento e di oppressione da parte del Belgio e di altri attori esterni, Patrice Lumumba, ma la sua rivoluzione sarà fermata con il suo omicidio. Di questo ne parleremo in un prossimo articolo sempre sul sito SMA.
Silvia C. Turrin
Immagini: Pinterest; Le soir; The Wilson Quarterly
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Per approfondire consigliamo i seguenti libri:
- Henri Wesseling, La spartizione dell’Africa. 1880-1914, Corbaccio, 2001
- Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, Rizzoli, 2001
- Guy Vanthemsche, La Belgique et le Congo (1885-1980): L’impact de la colonie sur la métropole, Le Cri, 2017 (non tradotto in italiano)