Nel 2011 ricorreva il 50° anniversario della morte di Frantz Fanon, psichiatra originario della Martinica (ex-colonia francese). Fanon è autore di due opere-simbolo dello spirito rivoluzionario che aleggiava nel cosiddetto Terzo Mondo, durante gli anni ’50 e ’60: Pelle Nera, Maschere Bianche del 1952 e I dannati della Terra del 1961. In Italia, a parte qualche articolo, non sono stati organizzati eventi di rilievo per ricordare il pensiero di questa figura meticcia, sospesa tra il mondo bianco occidentale e la difficile, dura realtà dell’Africa ancora oggetto del colonialismo.
Fanon sembra abbia incarnato in forma pionieristica l’essenza di un uomo in cerca di una chiara identità, come quei figli di migranti nati in terra europea che non riescono a riconoscersi pienamente nella cultura del Paese che li ha accolti (in modo più o meno ospitale), e che non sentono al contempo le proprie radici africane.
Fanon, classe 1925, ha frequentato il liceo Schoelcher dove ha avuto come professore Aimé Césaire. Nel ’43, lascia la terra nativa per partecipare come volontario alla Seconda Guerra Mondiale a fianco della Francia Libera. Terminata la guerra, studia medicina e psichiatria presso Lione. In questa prima fase Fanon appare in qualche modo legato alla cultura europea, soprattutto a quella francese. La svolta nel suo pensiero avviene a partire dagli anni Cinquanta.
Parte per l’Algeria, dove lavora come psichiatra in un ospedale durante la guerra anti-coloniale contro la Francia. Questa forte esperienza a stretto contatto con il colonialismo e con le conseguenze che esso produce muta la sua filosofia di vita. Partecipa alla lotta di liberazione algerina, appoggiando il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), recidendo così i legami culturali con la Francia. Collabora inoltre alla redazione del giornale El-Moudjahid (Il Combattente).
I libri qui citati racchiudono questa svolta, e la sua nuova consapevolezza difronte alla brutalità con cui la Francia ha gestito la guerra di indipendenza in Algeria. I due volumi evidenziano gli effetti culturali, politici, sociali, psicologici della dominazione coloniale sui popoli oppressi. Per tale motivo, Fanon è stato definito da Jock McCulloch, “l’unico grande scrittore che ha tentato di unire i problemi della liberazione nazionale e la rivoluzione sociale dal privilegiato sguardo della psicopatologia”.
Negli scritti di Fanon si ritrova la dicotomia coloni/colonizzati: è una divisione che dà origine non solo a due realtà urbane e sociali fra loro contrapposte, ma anche a due mondi culturali antitetici: i valori, i modelli di vita dei coloni e dei colonizzatori erano fra loro in contrapposizione. È da questa dicotomia che nasce la violenza. Per Fanon la violenza ha rappresentato l’elemento fondante della colonizzazione e quindi la riteneva l’unico possibile e fattibile mezzo per combattere, contrastare ed eliminare il mondo coloniale.
Fanon ne I dannati della terra, ha definito la violenza come “l’intuizione che hanno le masse colonizzate che la loro liberazione deve farsi, e non può farsi, se non con la forza. Sanno che solo questa follia può sottrarli all’oppressione coloniale”. In questo senso, la violenza rappresenta l’unico strumento che i colonizzati possono utilizzare per liberare sé stessi dall’oppressione, anche se rappresenta pur sempre uno strumento folle. Fanon è morto di leucemia nel 1961 negli Stati Uniti. In seguito, le sue spoglie sono state trasportate in Algeria.
A lui vengono dedicate due giornate – sabato 21 e domenica 22 gennaio 2012 – organizzate presso La Ferme du Buisson di Noisiel, in Francia, il Paese che ha amato-criticato. Antropologi, filosofi, storici, cineasti, musicisti e coreografi danno vita a dibattiti per ricordare e rielaborare l’eredità di questo grande psichiatra vicino ai “dannati della terra”.
Articolo di Silvia C. Turrin© anche on line sul sito di SMA Africa