Intervista pubblicata sul bimestrale Vivere lo Yoga n. 36 – genn-febbr 2011
L’Occidente e l’Oriente si incontrano e si fondono nel percorso yogico di Selene Calloni, specialista di antichi cammini iniziatici. Psicologa, autrice di numerosi libri (ricordiamo fra gli altri Energia e armonia nello yoga integrale e Iniziazione allo yoga sciamanico) propone attraverso incontri teorici ed esperienziali, un doppio processo di conoscenza ispirato, da un lato, alla filosofia occidentale, dall’altro, alle pratiche orientali. Ascoltare le sue parole è come venire catturati dalla magia e dall’energia di terre lontane, ma significa anche addentrarsi nella cultura di popoli che hanno conservato tradizioni intrise di una profonda spiritualità. Bhutan, Sri Lanka, India, Tibet: sono questi i luoghi più emblematici dove Selene ha forgiato il suo sapere, che divulga attraverso workshop di yoga basati, oltre che sul nada e kundalini yoga, anche sullo yoga sciamanico. È proprio da questa forma ancestrale di yoga che Selene è stata iniziata a un cammino di conoscenza in costante evoluzione, come ci spiega nell’intervista che ci ha gentilmente rilasciato.
«Avevo 19 anni quando sono andata per la prima volta nello Sri Lanka. Avevo appena terminato il liceo e come primo lavoro avevo trovato un posto per una compagnia italiana impegnata nel progetto di costruzione di un villaggio turistico nel sud dell’isola. Mentre svolgevo un’attività di segretariato e mi occupavo delle faccende burocratiche, ho incontrato una persona straordinaria, Michael Williams. Lui è stato il mio maestro. Per molti anni, Michael aveva insegnato lingua inglese all’università. Era un tamil, nonostante il nome anglosassone, molto scuro di pelle. Per tutta la vita si è dedicato allo yoga e allo sciamanismo, ed ha avuto la fortuna di essere stato amico personale e discepolo di Sri Aurobindo. Michael aveva fondato anche una scuola di yoga a Colombo, l’Oriental Yoga Accademy. È stato lui ha iniziarmi allo yoga sciamanico».
Quali sono gli elementi fondanti lo yoga sciamanico?
«È uno yoga che non ha confini, poiché deriva dal lignaggio e dalle discendenze familiari. Si tramanda da maestro a discepolo. Le origini si perdono nella storia di un’etnia tibeto-birmana, ma troviamo i principi dello yoga sciamanico non solo in Birmania, nello Sri Lanka e in Tibet, ma anche nel Ladakh, nel Kashmir e nell’Assam. Nello yoga sciamanico si ritiene che la realtà e il nostro stesso corpo siano un veicolo di pura apparizione. Il principio base indica come la realtà non sia oggettiva, bensì frutto di una nostra stessa proiezione, di una proiezione della nostra mente. Lo yoga sciamanico consta di due elementi principali: il primo, è quello in cui la realtà, cioè questa grande proiezione, viene riassorbita. Questo avviene attraverso una pratica sciamanica che si chiama del “mandala visionario” o “mandala interno”».
In cosa consiste la pratica del “mandala visionario”?
«Si visualizza tutta l’esperienza di vita come se fosse disegnata all’interno di un mandala, impiegando al contempo particolari tecniche respiratorie. Si assorbe poi questo mandala all’interno del corpo. Dopo di che, si agisce sulle nadi – ida e pingala – attraverso pratiche psico-corporee per risvegliare le energie in grado di agire su questa rappresentazione visionaria. Prima si riassorbe la rappresentazione visionaria dentro di sé, poi agendo sulle nadi, si risvegliano le energie che poi sono utilizzate per lavorare su questa rappresentazione visionaria. Tutte le pratiche dello yoga sciamanico hanno una peculiarità: hanno una contemporaneità di esperienza madre e di esperienza figlio. L’esperienza figlio è quella corporeo-energetica che è data dalla postura, dal controllo del respiro, e dalla pratica di mudra, cioè gesti con contrazioni particolari del corpo. L’esperienza madre è invece l’esperienza visionaria. Tutte le pratiche dello yoga sciamanico hanno questa peculiarità di avere esperienza corporea, energetica e respiratoria, sempre accompagnata da un’esperienza visionaria. E viceversa».
È questa simultaneità esperienziale che rende lo yoga sciamanico in parte diverso dall’hatha yoga?
«La differenza riguarda principalmente l’esperienza visionaria: nell’hatha yoga non è necessaria, e in esso non avviene la contemporaneità di vivere un’esperienza visionaria, corporea ed energetica a differenza dello yoga sciamanico».
Quando le persone sperimentano le tecniche dello yoga sciamanico, cosa noti in loro? Quali processi attiva?
«Osservo che le persone imparano a trasvalutare. Come si direbbe nel linguaggio tantrico conoscono la divinità che è in loro. La trasvalutazione conduce al risveglio di una grande forza interiore, perché ci si accorge che, al di là dei valori condizionanti del mondo, che spingono a fuggire dal sé, la nostra natura è pura energia: sat, chit, ananda, esistenza, coscienza, gioia. Allora ci si rende conto che per tutta la vita ci si è allontanati dall’energia interiore, a causa di condizionamenti derivanti dai valori dominanti. Lasciando cadere questi valori s’impara a trasvalutare e ad andare verso la propria forza, senza farsi più spaventare dalle regole del mondo. Le persone imparano a superare le paure e a familiarizzare con le proprie energie, prima latenti; inoltre, imparano pratiche psico-corporeee ed energetiche straordinarie».
È lo sciamanismo che accomuna il tuo approccio allo yoga e la filosofia dei viaggi che proponi?
«Sì, il filo conduttore è lo sciamanismo. I viaggi che organizzo conducono a una ricerca di tradizioni sciamaniche e animiste che hanno resistito ai processi di modernizzazione e globalizzazione. Per esempio, in Birmania troviamo gli sciamani del monte Popa, l’Olimpo birmano, dove secondo le antiche credenze vivono spiriti, dèi e dèmoni, venerati da tutta la popolazione. Anche in Mongolia si può venire a contatto con pratiche sciamaniche senza interferire in quel mondo dove la cultura occidentale, le mode e il mercato non sono ancora arrivati. Nello Sri Lanka è ancora molto forte l’eremitaggio buddhista, nella tradizione theravada che, come tutte le religioni, ha un aspetto sociale e uno intimo. La tradizione esoterica theravada è espressa da monaci eremiti che vivono nelle foreste, dormendo nelle grotte, in totale isolamento. Sono molto rispettati e conosciuti come morti in vita, perché prima di partire per la giungla restituiscono tutto ciò che hanno e perdono la loro identità».
Da più parti si sente dire che stiamo vivendo nell’epoca del Kali yuga che secondo i Veda è l’era della discordia, della complessità, del caos. Qual è il tuo punto di vista?
«L’idea di dividere la storia in epoche è antichissima. Ritengo che tutti i tempi storici – dell’oro, del bronzo, del ferro – siano presenti simultaneamente nella stessa epoca e nella stessa vita di un individuo. Credo nella ciclicità, ma nella ciclicità dell’attimo; quindi una persona può vivere in se stessa tutte quante queste epoche nell’arco di una vita. Dipende dalla persona scegliere in quale epoca fermarsi e in quale avere la forza di fermarsi se lo desidera. Trovo che nella nostra epoca ci siano aspetti aberranti, ma anche meravigliosi. Vedo una simultaneità, un’età del bronzo ma anche dell’oro. Dipende dal nostro approccio in quale epoca vogliamo vivere. Possiamo scegliere e agire di conseguenza, per un cambiamento».
Copywrite 2011 Silvia C. Turrin