Il 2024 è un anno in cui in Sudafrica (come altrove nel mondo), si assiste a una frammentazione politica e a un mutamento nelle alleanze e negli schemi partitici sinora predominanti. Si assiste anche a un altro fenomeno globale che non bisogna negare o sottostimare: il riemergere del razzismo.
Ma compiano una sorta di deviazione andando indietro nel tempo, prima di approfondire queste due tematiche.
Il crollo delle speranze
30 anni fa, nell’aprile del 1994, si svolsero in Sudafrica le prime elezioni democratiche.
All’epoca, nella “nazione arcobaleno” si respiravano speranza, gioia e libertà. Aleggiava la voglia di costruire un nuovo Sudafrica, dove tutte le voci e i volti potessero convivere in armonia e in pace. A traghettare il Paese in questo entusiasmo c’erano Nelson Mandela e l’Arcivescovo Desmond Tutu, entrambi premi Nobel per la Pace ed entrambi – seppur con modalità diverse – attivisti anti-apartheid.
In quegli anni, l’African National Congress poteva contare su un ampio consenso popolare. Nelle votazioni del 1994 ottenne una maggioranza del 62% e i suo leader massimo, Mandela, divenne il primo presidente democraticamente eletto del Sudafrica.
Il clima propositivo e di speranza continuò negli successivi, tanto che nel 1999, con le seconde elezioni democratiche, l’ANC raggiunse i due terzi dei voti totali.
Anche nel 2004, a 10 anni dal nuovo corso politico-democratico, l’ANC rimaneva il partito dominante. Una crisi dei consensi verso l’ANC iniziò a manifestarsi con le elezioni nazionali del 2019, dopo l’elezione a presidente di Ramaphosa.
Il declino dell’ANC è stato evidente con le elezioni del mese di maggio 2024, ottenendo solo il 40% dei voti. Per la prima volta dal 1994, il Sudafrica ha visto la nascita di un governo di unità nazionale, composto dall’ANC e dall’Alleanza Democratica (principale partito di opposizione), cui si aggiungono, altri nove partiti politici.
Il declino dell’ANC esprime non tanto una disfatta politica, quanto una sconfitta sul piano della giustizia sociale ed economica.
Ineguaglianze e lo spettro del razzismo
Trent’anni dalla fine dell’apartheid, il Sudafrica vede ancora aleggiare gli stessi spettri di quell’epoca oscura dominata da segregazione razziale e sfruttamento.
Le disparità economiche si sono acutizzate, da un alto a causa della pandemia, dall’altro a causa delle turbolenze geopolitiche e dalla mancanza di programmi nazionali ad hoc volti ad affrontare la questione povertà. Il Sudafrica di oggi è dominato ancora da tante fratture, oltre che da disparità nell’accesso all’istruzione, al lavoro, alla casa, ma anche ai servizi basilari come acqua e luce.
E pensare che già nel 2011, il governo di allora, per garantire una migliore qualità di vita per tutti, tramite una specifica Commissione aveva delineato un Piano di sviluppo nazionale con l’intento di eliminare la povertà e ridurre le ineguaglianze entro il 2030. Mancano ancora sei anni, ma il cammino per raggiungere questi obiettivi è ancora lungo. Basti dire che il tasso di disoccupazione è del 32%.
Un dato scoraggiante, tra le cui cause principali vi è un basso livello di istruzione dovuto alla mancanza di possibilità socio-economiche. In pratica, chi è svantaggiato dal punto di vista sociale ed economico non ha i mezzi per accedere a una buona istruzione e quindi per entrare nel mondo del lavoro. Tanti i giovani non occupati, non istruiti o non formati: a marzo 2024 il tasso di disoccupazione giovanile in Sudafrica sfiorava il 60%.
Persino un Rapporto della Banca Mondiale del 2022 ha definito il Sudafrica come il Paese al mondo dove le ineguaglianze sono più radicate. L’80% della ricchezza nazionale è nelle mani del 10% della popolazione. E la comunità nera rimane – proprio come ai tempi dell’apartheid – la più toccata dalla povertà.
Tutto ciò si collega alla piaga del razzismo ancora dilagante. E la discriminazione non ha colore, nel senso che pregiudizi e stereotipi sono presenti sia nella comunità nera, sia ancora in quella bianca. E il razzismo è traversale, perché all’interno della stessa popolazione black sudafricana vi è discriminazione verso altri cittadini africani.
18 luglio: l’importanza di celebrare il Mandela Day
Certamente il Sudafrica di oggi non è quello che sognavano Nelson Mandela, Desmond Tutu, Stephen Biko, Walter Sisulu, Frederik de Klerk, Ahmed Mohamed Kathrada, Oliver Tambo, Lilian Matabane Ngoyi, solo per citare alcune delle tante figure anti-apartheid.
Per questo, il 18 luglio, è più che mai necessario celebrare il Mandela Day. Una giornata festeggiata in tutto il mondo per suggellare la nascita di questo personaggio storico, ancora amatissimo. Nelson Mandela era nato proprio il 18 luglio nel villaggio di Mvezo. Correva l’anno 1918.
Anche se sono trascorsi già 11 anni dalla sua morte, Madiba continua a essere un punto di riferimento per quanti credono nei valori della collaborazione, dell’unità, della riconciliazione e nel contrasto alle ingiustizie e alle discriminazioni.
Non è stato un caso che il poeta sudafricano Breyten Breytenbach, nel 1992, appena dopo la liberazione di Mandela dopo oltre 20 anni di detenzione, scrisse queste semplici, ma potenti parole:
“Forse il nostro periodo oscuro sulla Terra ora ha un po’ più senso”.
Guardando alla situazione attuale del Sudafrica, occorre trovare una nuova via per dare senso all’oscurità del presente, al fine di riportare luce e speranza a tutti coloro che vivono ancora in una condizione di povertà, di sfruttamento e di oppressione.
Silvia C. Turrin