È estremamente difficile rimanere imparziali e distaccati scrivendo di un uomo come Nelson Mandela, che è parte della Storia non solo del Sudafrica.
È difficile scrivere senza commuoversi della sua morte, o senza gioire nel ricordare la sua liberazione nel 1990, dopo 27 anni di carcere!
È difficile non rimanere coinvolti emotivamente dalla vita di Mandela, poiché la sua esistenza è stata indissolubilmente legata alle tormentate vicende della sua terra natia.
Mentre scriviamo sono trascorse poche ore dall’annuncio della sua morte. Ne ha dato notizia l’attuale presidente del Sudafrica Jacob Zuma in un messaggio in diretta alla nazione. “La nostra terra ha perso il suo più grande figlio. Il nostro popolo ha perso un padre. Benché sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato, nulla può attenuare il nostro senso di profonda e prolungata perdita”, ha dichiarato Zuma con un tono posato e commosso.
Da mesi Mandela si trovava in una condizione precaria di salute: a febbraio di quest’anno era stato operato all’addome, mentre a giugno era stato ricoverato con una tale urgenza in ospedale da far pensare al mondo intero che il suo ultimo respiro fosse ormai giunto.
Schiere di giornalisti provenienti dai quattro angoli del globo si erano appostati davanti all’ospedale in cui era ricoverato da giorni Madiba, come stessero aspettando la sua morte… Così è il mondo dei grandi mass-media, così si rivela tutto il cinismo di cui il genere umano è capace di esprimere.
È quello stesso cinismo che Mandela ha dovuto affrontare in più occasioni durante il corso della sua lunga vita.
Qui non possiamo rimanere dunque freddi, né impassibili nel ricordare un uomo che ha agito per la libertà del suo popolo e della sua patria: un’intera nazione soggiogata dall’oppressione di un regime razzista appoggiato (più o meno esplicitamente) da numerosi governi Occidentali che si definivano (e si definiscono) liberali.
Le prime elezioni multirazziali e democratiche, basate sul principio one person one vote (una persona, un voto) si tennero in Sudafrica il 27 e il 30 aprile 1994. Erano giorni pieni di speranze, di aspettative, ma anche di paure. In quei giorni stava germogliando la Rainbow Nation, la “nazione arcobaleno” (definizione coniata dall’arcivescovo e Premio Nobel per la Pace Desmond Tutu, con cui si intende sintetizzare le caratteristiche del nuovo Sudafrica, basato sull’unione delle differenti comunità ed etnie del paese).
Era l’alba di un nuovo giorno per il Sudafrica. Migliaia e migliaia di sudafricani votavano per la prima volta nella loro vita! E per la prima volta un sudafricano dalla pelle nera (o “marrone”, come avrebbe detto Stephen Biko, ironizzando sul concetto di razza e sui termini errati dati al colore della pelle delle persone) si accingeva a diventare Presidente del nuovo Sudafrica. Quell’uomo era Nelson Mandela, il quale, dopo ventisette lunghi anni di prigionia, continuava a essere il simbolo, la guida spirituale, umana e politica della nazione.
La libertà che oggi vive il Sudafrica, pur tra mille e più contraddizioni soprattutto di natura sociale ed economica, la si deve certamente alla resistenza di tante donne e di tanti uomini che hanno combattuto contro l’élite bianca al potere e contro il razzismo, ma la si deve in particolare a Nelson Mandela.
Grazie alla sua lungimiranza i sudafricani si sono potuti riconciliare tra loro nel nome di un sogno comune, che è quello del risveglio della nazione e del suo sviluppo.
Grazie ai valori espressi e diffusi con perseveranza da Mandela, le varie comunità sudafricane – neri, asiatici, bianchi, coloured e i vari gruppi etnici (tra cui gli Xhosa e gli Zulu) – sono riuscite a trovare un modo per convivere insieme (sebbene fenomeni razzisti da entrambe le parti hanno continuato a manifestarsi in alterni periodi).
La Riconciliazione nazionale avviata da Mandela è stata un grande progetto volto a stemperare sentimenti di odio e di rivalsa, per costruire in armonia un nuovo Sudafrica, una nuova nazione dai tanti volti e dalle tante voci.
Mandela poteva nutrire rancore verso la minoranza bianca, per tutto ciò che ha costretto a subire (tra cui la morte del suo primo figlio Madiba Thembekile detto “Thembi”, ucciso in un incidente d’auto organizzato dalle forze di sicurezza il 13 luglio 1969), invece ha preferito riconciliarsi col vecchio “nemico”, poiché non voleva assistere a un bagno di sangue come quello che si stava già intravvedendo prima delle elezioni del 1994.
In tanti episodi della vita di Mandela si percepisce chiaramente la sua grandezza. Tra le numerose circostanze ricordiamo il famoso processo di Rivonia, i cui imputati, tra i quali figurava Mandela, furono accusati di “sabotaggio, cospirazione per il rovesciamento violento delle istituzioni e complicità nel progetto d’invasione del Sudafrica da parte di truppe straniere”. Nel corso dei dibattimenti, Mandela utilizzò l’aula giudiziaria come una sorta di palcoscenico dal quale diffondere, all’opinione pubblica sudafricana e internazionale, l’oppressione vissuta da neri, asiatici e coloured. Riferì Mandela all’udienza del 20 aprile 1964: “Da ragazzo, nel Transkei, ascoltavo gli anziani della mia tribù raccontare dei tempi passati. Gli anziani narravano anche delle guerre combattute dai nostri antenati in difesa della loro patria […] Nacque allora la speranza che la vita desse anche a me l’occasione di servire il mio popolo e di dare il mio umile contributo alla sua lotta di liberazione. È questo che mi ha motivato in tutte le mie azioni, che mi vengono ora contestate davanti a questa corte”.
“Servire il mio popolo, dare il mio umile contributo”… sono parole che hanno ispirato sempre ogni gesto di Mandela e che dovrebbero far riflettere i politici contemporanei che siedono sugli scranni del potere…
Gli insegnamenti e i valori che ha elargito al mondo Nelson Mandela sono contenuti nella sua Autobiografia dal titolo “Lungo cammino verso la libertà” (Feltrinelli editore): questo libro ripercorre ogni momento importante della vita di Madiba (il nome del clan di Mandela), dalla sua infanzia nel veld alla decisione di lasciare la sua comunità nel Transkei, per diventare avvocato a Johannesburg. Ogni pagina è un tuffo nella storia: quella di un uomo carismatico e saggio che ha ridato la libertà al suo popolo, e al contempo la storia di un’intera nazione.
L’esistenza di Mandela è inestricabilmente intrecciata alle vicende del Sudafrica: leggere la sua Autobiografia significa scoprire che il regime razzista avviato nel 1948 dalla minoranza bianca, con a capo il National Party, era la logica conseguenza di un sistema iniquo e oppressivo instaurato dai coloni europei. Scrive Nelson Mandela: “Apartheid era un vocabolo nuovo, ma l’idea era vecchia. Significa letteralmente ‘separatezza’, e rappresenta la codifica in un unico sistema oppressivo di tutte le leggi e i regolamenti che per secoli hanno mantenuto gli africani in una posizione di inferiorità rispetto ai bianchi. Quello che era esistito più o meno de facto doveva implacabilmente affermarsi de jure”.
La strada per smantellare la dominazione razzista è stata piena di ostacoli, piena di odio e di ingiustizie che hanno causato la morte di milioni di sudafricani. Eccidi come il massacro di Sharpeville (21 marzo 1960) e l’ecatombe seguita alla rivolta di Soweto (1976) hanno messo in luce più che mai la brutalità del governo di Pretoria, che usava ogni mezzo per mettere a tacere gli oppositori. Rafforzando le misure di detenzione e i poteri concessi alle forze dell’ordine l’élite al potere sperava di indebolire i movimenti anti-apartheid. Ma così non fu.
Mandela, sebbene fosse in carcere, divenne un’icona della resistenza e portavoce autorevole dell’African National Congress (ANC). Fu Mandela, insieme ad altri insieme ad altri importanti esponenti politici dell’ANC e leader anti-apartheid quali Oliver Tambo e Walter Sisulu, a condurre il Sudafrica verso la meta tanto agognata: la libertà. Il lungo cammino iniziato con la stipulazione della Freedom Charter (documento del 1955 nel quale si auspicava la creazione di un Sudafrica libero, democratico e multirazziale) e con gli atti di sabotaggio compiuti tramite l’Umkhonto we Sizwe, l’ala militare dell’ANC, ha portato alla lacerazione delle catene dell’oppressione in Sudafrica.
Il cammino di Mandela ha resistito per 95 anni, quasi un secolo, ed è un cammino che deve continuare, al di là della sua morte, al di là della sua presenza… che comunque continuerà ad aleggiare… perché la libertà è un valore fondamentale per ogni essere umano.
Mandela affermò: “Solo quando ho scoperto che la libertà della mia infanzia era un’illusione, che la vera libertà mi era già stata rubata, ho cominciato a sentirne la sete […] La libertà è una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti, e le catene del mio popolo erano anche le mie”.
Da questa prospettiva, ognuno di noi, ad ogni latitudine, dovrebbe pensare e agire da uomo libero e dovrebbe pensare e agire affinché tutti gli esseri umani, senza alcuna distinzione, possano esperire il gusto della vera libertà, in una società non più fondata sull’odio, sui pregiudizi, sul razzismo, sulla supremazia di un’élite a danno della maggioranza, poiché in una società non libera, come scrisse Nelson Mandela “l’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della loro umanità”.
Silvia C. Turrin
L’articolo è on line anche sui siti SMA Afriche e Combonifem (Mondo Donna Missione)
Questa la canzone simbolo del movimento anti-apartheid, “Sun City” titolo che riecheggia un luogo simbolo dell’ipocrisia della minoranza bianca durante l’epoca dell’apartheid: Sun City era una città-casinò per i bianchi perbenisti dove tutto era loro concesso… da qui la scelta degli Artists United Against Apartheid di cantare “Non andremo a suonare a Sun City”…