Un personaggio istrionico come David Robert Jones, in arte David Bowie, sembrava un immortale. Anche dopo i problemi di salute avuti nel 2004, e la conseguente operazione di angioplastica coronarica, il “Duca Bianco” è rimasto attivo con una serie di progetti, collaborazioni, tra musica e arte, nonché attraverso apparizioni a sorpresa, come quella indimenticabile al Live di David Gilmour alla Royal Albert Hall di Londra, nel 2006.
Poi, l’uscita di The Next Day ha fatto sperare i suoi estimatori nella possibilità di alcuni concerti di presentazione del nuovo attesissimo album, dopo dieci anni dal precedente registrato in studio, Reality (2003).
Quest’anno, l’8 gennaio abbiamo festeggiato il suo 69° compleanno, in contemporanea con l’uscita di Blackstar, disco che ormai sarà ricordato come il suo testamento spirituale in musica. Dopo soli due giorni dall’uscita di questo suo nuovo lavoro, ancora una volta sperimentale, accolto positivamente dalla critica, il 10 gennaio, “l’outsider” David Bowie, l’alieno che cadde sulla terra, è ritornato laddove era partito, con l’intento di rivoluzionare la musica.
Ed è riuscito in questo intento.
Dal 1967, con l’eponimo album, Bowie ha saputo giocare coi suoni, con le forme, i colori, come un musico-teatrante che vuole stupire, divertire e far pensare chi lo ascolta e osserva.
Da allora, ha attraversato mode e periodi musicali vivendo ogni fase da protagonista. Dall’art rock al glam, dal pop visionario (sebbene queste etichette siano permeabili e duttili), all’hard rock coi Tin Machine, David Bowie ha tracciato solchi musicali molto profondi, indelebili, nell’arco di cinque decenni, tanto da essere amato in maniera trasversale da varie generazioni.
La morte inaspettata di colui che ha dato vita al personaggio di “Ziggy Stardust” lascia un enorme incolmabile vuoto, all’interno di una panorama musicale spesso troppo piatto e troppo conformista.
David Bowie si accomiata dal mondo con Blackstar, un album di non facile ascolto, molto intimista, molto cupo, che riflette quella condizione che egli stava vivendo, quella condizione vicina al Bardo, tra la vita e la morte. La traccia più struggente, con quel sax iniziale è “Lazarus” in cui canta “Sono in Paradiso […] sarò liberò”. Parole che fanno riflettere, dopo il suo decesso. Un testo che ci spinge a considerare la realtà basata talvolta su oggetti che alla fine si rivelano inutili, puri orpelli. Bowie ha voluto sino alla fine essere un grande, lasciando a questo mondo il suo ultimo regalo: un disco pieno di rabbia, di dolore, e di disincanto.
Ci rimane una straordinaria eredità, patrimonio di tutti.
Tra i tanti suoi capolavori ricordiamo Space Oddity (1969), The Man Who Sold the World (1970), The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972), Low e Heroes (entrambi del 1977), Scary Monstes (1980), The Buddha of Suburbia (1995), Earthling (1997).
E tra i film in cui è protagonista impossibile non citare The Man Who Fell to Earth, “L’uomo che cadde sulla Terra”, ispirato al romanzo del 1963 di Walter Tevis. Una pellicola ancora attualissima, che mostra un David Bowie ecologista antelitteram, un alieno alla ricerca del prezioso oro blu, l’acqua, indispensabile per salvare il suo pianeta e la sua famiglia.
L’alieno è tornato nel suo mondo… diventando un “eroe” della musica e dell’arte, non solo per un giorno…
Silvia C. Turrin
Articolo correlato David Bowie – Berlino: a new career in a new town